I numeri, si sa, hanno una loro forza intrinseca. E di numeri ce ne sono almeno due che non permettono a Renzi di trascorrere un Ferragosto tranquillo. Sono uno zero e un 47. Essendoci un zero non sono buoni neppure per farci un ambo secco sulla ruota di Palazzo Chigi, resta quindi solo la preoccupazione.
Zero è la crescita del Pil nel secondo trimestre dell’anno. Una doccia fredda certificata dall’Istat, che spegne i sogni di una ripresa finalmente imboccata per l’economia italiana. 47 è, invece, la percentuale che riscuoterebbero i Sì, se si votasse oggi per il referendum confermativo della riforma costituzionale, secondo il più recente sondaggio di Scenari Politici/Winpoll.
La prospettiva dell’autunno è quindi di una doppia rincorsa, da una parte al consenso elettorale, dall’altra a spingere in su l’economia, evitando (forse) di incorrere negli strali degli occhiuti giudici europei di Bruxelles. E a complicare il tutto c’è l’intersecarsi delle due partite.
Il rallentamento dei ritmi nei giorni centrali dell’estate consente a Renzi e al suo governo qualche giorno in più per pensare. Vacanze zero soprattutto al ministero dell’Economia, dove la preparazione della legge di stabilità sembra in alto mare. Come la tela di Penelope, i tecnici di Pier Carlo Padoan si trovano a fare e rifare i conti in continuazione. La certificazione del mancato decollo dell’economia costringerà, infatti, a rifare i conti. Ma abbassare le stime di crescita (quella del governo diceva +1,2% per il 2016), vuol dire ammettere che ci saranno meno introiti fiscali e che — di conseguenza — occorreranno risorse aggiuntive. A inizio anno molto osservatori indicavano per l’Italia una crescita allo 0,8%. I gufi stanno avendo la loro rivincita, e ogni decimale pesa come un macigno. Le stime degli economisti oscillano fra 20 e 30 miliardi di euro da trovare, per evitare che scattino le clausole di salvaguardia già previste, e cioè nuovi aumenti di Iva e accise.
Da Palazzo Chigi è partito il diktat di evitare di parlare di manovra correttiva. E l’ordine è di fare di tutto per evitare queste famigerate clausole di salvaguardia, come ha assicurato il sottosegretario all’Economia Paola De Micheli, anche se non sarà facile. Concreto è il rischio di andare a sbattere contro l’Europa, che non cessa di vigilare sui conti pubblici, almeno sui nostri. Troppe sono però le aspettative suscitate, da quelle degli interventi sulla previdenza, per attutire gli effetti più perversi dell’innalzamento dell’età pensionabile targato Monti/Fornero, all’attenzione assicurata ai pensionati e ai redditi più bassi, sino alle opere pubbliche da sbloccare e completare.
Renzi ha messo in conto un nuovo braccio di ferro con Bruxelles, cui chiederà tutta la flessibilità possibile, e anche di più. Ogni argomento verrà utilizzato per ottenere sconti, a cominciare dalla gestione dell’emergenza migranti, che continua a investire in pieno proprio l’Italia.
La minaccia (e, insieme, la tentazione) è quella di sforare i limiti di bilancio imposti dalle ferree regole del rigore “Made in Germany”. Del resto, visto l’addio della Gran Bretagna all’Europa, la forza coercitiva dei burocrati comunitari sembra decisamente appannata. Con maggior forza contrattuale, quindi, Renzi sente di poter ottenere qualcosa, anche perché lo stesso rigore non è stato usato con altri paesi, ad esempio la Francia.
Avere benzina da immettere nell’economia è fondamentale per vincere la battaglia referendaria. Se la manovra di autunno non sarà espansiva, la consacrazione del renzismo salterà. Poi, certo, nei tre mesi che separano dal voto potranno essere usate anche armi più politiche, così da smussare gli spigoli e recuperare rispetto ai sondaggi di oggi.
Le strade non mancano: la prima è avviare una riflessione sulla legge elettorale, come gli chiede a gran voce la minoranza interna. Dal momento che si voterà a fine novembre (il 20 o il 27) il tempo c’è per avviare formalmente la discussione. Per Renzi l’errore da evitare, però, è di attendere che sia la Corte Costituzionale a levare le castagne dal fuoco. Alla Consulta l’esame dell’Italicum comincerà il 4 ottobre, mentre la sinistra Pd attende un segnale inequivocabile entro settembre. In caso contrario al referendum si schiererà per il No, azzoppando di fatto il premier, che si troverebbe in casa gli avversari più insidiosi. Dopo la battuta d’arresto alle amministrative, un Pd unito è presupposto indispensabile per vincere.
C’è però anche un’altra carta che Renzi potrebbe giocare, quella di avviare una discussione con Forza Italia sulla proposta di assemblea costituente lanciata da Stefano Parisi, qualunque sia l’esito referendario. Servirebbe a dividere e ammorbidire un pezzo significativo di opposizione. Vista però la ridda di critiche piovuta sull’ex candidato a sindaco di Milano da parte dei suoi compagni di partito, dirimente sarà capire se dietro quell’idea ci sia o meno Silvio Berlusconi.
L’onere della prima mossa, spetterà comunque a Renzi, che di perdere il referendum proprio non se lo può permettere.