Con il via libera della Corte di Cassazione al referendum confermativo, nuovamente gli ambienti politici si surriscaldano e si scambiano dardi infuocati con accuse reciproche, più o meno fondate. Anche la fissazione della giornata della domenica più idonea per chiamare al voto i cittadini è occasione di polemica. Le opposizioni vogliono le urne disponibili in tempi rapidi, il Governo sembra volerla tirare per le lunghe. 



Una situazione non molto usuale se paragonata ai referendum della Prima Repubblica. Anche in quell’epoca il confronto era acceso, ma intanto il Governo se ne stava il più possibile alla larga dallo scontro, perché erano i partiti a svolgere quel ruolo e non certamente le istituzioni, che in quel caso dovevano essere preservate dall’agone della dialettica politica aspra per mantenerle il più possibile neutre al fine di preservarne stabilità e prestigio. 



I presidenti del consiglio, pur espressione di precisi schieramenti parlamentari, pubblicamente non pronunciavano in ogni caso parola alcuna sui punti in questione. I partiti naturalmente erano compatti al proprio interno sul proprio posizionamento politico. I nodi appartenenti ai cambiamenti costituzionali e istituzionali non venivano gestiti con maggioranze risicate o con azzardi al punto da minare la stabilità dell’esecutivo. La convenzione, non scritta ma praticata sin dai primi passi della nostra democrazia, è che le regole costitutive della Repubblica riguardano tutti ed eventuali cambiamenti devono coinvolgere il più possibile i vari orientamenti esistenti. 



Taluni diranno che erano altri tempi e che ora la politica deve darsi  ritmi sostenuti nelle decisioni a ogni costo per assicurare governabilità, ma questo ormai è un refrain che si ripete da lustri. È evidente che la cosiddetta Seconda Repubblica ha complicato i problemi del periodo precedente proprio perché si è affidata all’idea che chi governa ha il diritto di cambiare ogni regola di convivenza civile e istituzionale anche a colpi di maggioranze risicate, a scavalco delle stesse maggioranze con operazioni di appoggio momentaneo di componenti politiche avverse. Operazioni che fanno impallidire l’antico  Presidente del Consiglio Agostino Depretis, incomparabile ideatore del trasformismo parlamentare italiano. 

Ormai  la pratica è quella del “friggi e mangi”; blitz parlamentari per regole di proprio vantaggio, che magari nell’arco del semestre successivo, mutate le condizioni politiche, non danno allo stesso soggetto identico vantaggio. Insomma, l’instabilità e l’ingovernabilità politiche sono accresciute enormemente e le riforme costituzionali e istituzionali prodotte hanno portato il Paese sovente al caos. 

Ecco perché al punto in cui ci troviamo, quello che ci occorre per rimuovere il clima avvelenato e di stallo, è dare vita a una Costituente per un’operazione di revisione delle regole con l’apporto di tutti e inaugurare una nuova fase della responsabilità nazionale. Abbiamo bisogno di cambiamento, ma per ottenerlo le scorciatoie vanno evitate, così come le improvvisazioni che si pagano sempre caramente.

Il presidente del Consiglio promette mezzo miliardo di euro per i poveri se vince il Sì al referendum. Non so francamente se queste affermazioni relative ai risparmi possibili abbiano fondamento. Lo stesso ministero dell’Economia afferma che siamo lontanissimi dai risparmi ottenibili. Ma quello che capisco da tempo è che il governo del Paese orientato a tensioni continue e a promesse incaute continua a mantenere l’Italia ultima nei paesi Ocse per capacità di ripresa. Il risparmio potrà essere significativo ed efficacemente redistribuito per le necessità del Paese alla sola condizione che si dia vita a un nuovo clima di responsabilità della classe dirigente.