Tre errori da evitare nella gestione dell’emergenza e nella ricostruzione delle zone terremotate. Li illustra Massimo Cialente, sindaco de L’Aquila dal 2007, l’uomo che ha vissuto in prima persona i giorni drammatici del terremoto del 2009 e tutta la fase successiva che ha portato alla rinascita della città. Il primo errore è progettare quartieri nuovi in zone periferiche anziché ricostruire i centri storici dei paesi crollati. Il secondo è la mancanza di trasparenza per quanto riguarda i lavori delle imprese private. Il terzo è una gestione troppo centralizzata da parte di governo e Regioni interessate, che non dia ascolto ai sindaci del territorio.



Il governo Renzi ha deciso di stanziare 50 milioni di euro per la ricostruzione. Come dovrebbero essere spesi questi fondi?

Nonostante i sindaci dei centri coinvolti abbiano ancora le vittime sotto le macerie, per me il problema della ricostruzione si pose già la mattina del 7 aprile 2009, quella successiva al sisma. Il nostro compito è quello di mantenere le persone nel loro Comune ed evitare che debbano cercare un’abitazione altrove.



Come si può perseguire questo obiettivo?

Rispetto all’emergenza va fatta la scelta di realizzare i MAP (moduli provvisori abitativi) sulla base delle esigenze reali in prefabbricati abitativi in legno, che sono molto belli e validi e soprattutto sono transitori, in quanto si tengono per pochi anni e poi si smontano e si portano via. Noi abbiamo la possibilità di ospitare gratuitamente gli sfollati per il periodo della realizzazione dei MAP, consentendo così un risparmio notevolissimo rispetto a quanto avvenne nel 2009.

Nello specifico come vanno usati i soldi?

Bisognerebbe sapere con certezza dove si prendono i soldi e quanti saranno stanziati, sapendo che si comincerà a spendere per la ricostruzione non prima della fine del 2017. Bisognerà quindi sapere quanto ci sarà per ciascuno degli anni a venire.



Il “modello L’Aquila” può funzionare anche per Amatrice e gli altri paesi colpiti?

Io propongo di utilizzare il modello L’Aquila, che ha funzionato molto, però con le norme più stringenti che chiedemmo noi per una maggiore trasparenza nella scelta degli ingegneri e delle imprese che seguono i lavori. Occorre evitare che un singolo progettista segua un numero eccessivo di progetti. Inoltre la scelta delle imprese deve essere fatta innanzitutto sulla base di bilanci solidissimi e certificati, perché molte imprese qui a L’Aquila sono venute a morire. Ci vogliono dieci diverse imprese che presentino innanzitutto un’offerta sui tempi e qualche miglioria.

Come vanno gestiti i subappalti?

Bisogna evitare di ricorrere a subappalti se non per quanto riguarda gli aspetti specialistici. Chiaramente l’impresa che fa le mura avrà bisogno di subappaltare all’idraulico, all’elettricista, a chi fa gli infissi. Il saldo deve avvenire con il proprietario che paga direttamente l’impresa del subappalto e non attraverso l’impresa leader. Il tutto con un codice unico di progetto. In questo modo si ricostruirà velocemente Amatrice, con una certificazione della sicurezza dei lavori. Amatrice deve ritornare in tutta l’area al ruolo di polo in grado di attrarre i turisti.

 

Quali sono gli errori da evitare nella gestione dell’emergenza e della ricostruzione?

Nella fase dell’emergenza l’errore da evitare è quello di pensare che non si ricostruirà. Dopo il terremoto de L’Aquila, la cosiddetta “new town” (i quartieri periferici sorti dopo il sisma, ndr) nacque con l’idea che non si sarebbe ricostruita la città. Con il tempo invece L’Aquila è stata ricostruita. Va inoltre evitata la mancanza di trasparenza per quanto riguarda la ricostruzione dei privati, mentre va velocizzata al massimo la ricostruzione pubblica.

 

Quale ruolo devono avere i sindaci?

Governo e Regioni devono dare ascolto ai sindaci del territorio. Purtroppo io come sindaco sono stato costretto a una lunga battaglia. Al contrario del Friuli, il terremoto de L’Aquila è stato quello più centralizzato e questo è il motivo per cui c’è stato questo scontro continuo che mi ha coinvolto in prima persona. Il piano di ricostruzione infatti ci ha fatto perdere quattro anni per quanto riguarda i lavori nel centro storico. Ancora oggi qualsiasi scelta passa attraverso il controllo del governo, con passaggi che possono richiedere fino a otto-nove mesi per un finanziamento o un trasferimento da parte dello Stato.

 

Spesso i lavori di ricostruzione sono accompagnati da inchieste della magistratura. Avverrà anche in questo caso?

Se questo avverrà occorre una grande trasparenza, con la possibilità da parte della magistratura di indagare, ma con tempi certi nella celebrazione dei vari passaggi da parte dei giudici. Noi abbiamo avuto alcuni avvisi di garanzia e ci sono voluti due anni e mezzo per avere la prima udienza, perché per quattro o cinque volte si sono verificati vizi di notifica. Alcuni degli indagati sono stati già prosciolti alla prima udienza. E’ un po’ come se in sala operatoria si rimandasse l’intervento perché non è arrivata la sacca di sangue per la trasfusione. Se avviene questo, di solito il caposala responsabile è sottoposto a dei provvedimenti. Due anni e mezzo sono una vita.

 

Con quali criteri vanno rifatti gli edifici?

Le attuali leggi prevedono come si debba costruire anche dal punto di vista tecnico. Non è un caso che Norcia, ricostruita dopo il terremoto del 1979, sia passata completamente indenne dalla scossa del 24 agosto. Occorre quindi prevedere il fascicolo dell’edificio e fare un grande intervento di prevenzione.

 

(Pietro Vernizzi)