“Stavolta a decidere saranno i sindaci. E credo che tutti preferiranno ricostruire il proprio paese lì dov’era, non di abbandonare quello vecchio per farne uno nuovo da un’altra parte”. E’ quanto affermato dal ministro per le Infrastrutture, Graziano Delrio, intervistato dal Corriere della Sera. Una dichiarazione che trova d’accordo il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, secondo cui nei Comuni colpiti dal sisma “c’è un senso d’appartenenza straordinario che va conservato. Non avrebbe senso che noi andassimo nelle grandi città, saremmo tutti dei folli”. Di idea completamente diversa è invece il sindaco di Arquata, Aleandro Petrucci, il quale in prima battuta parlando con il sussidiario ammette che quello della ricostruzione “è un problema che non ci siamo ancora posti perché abbiamo da fare delle cose immediate. Per ora chi vuole rimane alloggiato nelle tende, molti dormono in macchina, e oggi (sabato, ndr) si terranno i funerali di Stato”. Ma poi Petrucci rivela: “Quando arriveranno i tecnici, si renderanno conto che ci sono tre paesi che non potranno essere ricostruiti se non con l’abbattimento totale. Per quanto riguarda gli altri, ci diranno chi potrà rientrare nelle case e chi no. A decidere però saranno i tecnici della protezione civile”.
Sindaco Pirozzi, come si ricostruisce Amatrice?
Con onestà e con le braccia forti.
Delrio ha detto: “No alle città nuove, ricostruiamo tutto lì dov’era”. E’ d’accordo?
Sì, certo.
Perché?
Perché ci sono dei luoghi simbolo. Del resto non si spiega perché uno dovrebbe vivere in un paese di montagna, a 70 chilometri dalle città, per poi andare a stare nelle “new town” (le zone ricostruite ex novo come all’Aquila, ndr). Qui c’è il senso della comunità, ci sono dei luoghi simbolo come la torre e gli edifici storico-architettonici. Non a caso se le scuole superiori non soddisfano le esigenze dei genitori, in molti mandano i figli da altre parti, anche spendendo cifre ingenti.
Quindi niente “new town” ad Amatrice?
Non avrebbe senso, saremmo tutti dei folli a vivere nelle zone marginali. Qui c’è un senso d’appartenenza straordinario che va conservato. Se noi andiamo tutti nelle grandi città, che magari erano state ideate per tre milioni di abitanti, poi nel giro di cinque-sei anni diventano improvvisamente quattro milioni. A quel punto non c’è sindaco che riesca a reggere un aumento indiscriminato della popolazione nel proprio nucleo e in tutta la zona circostante. Doppiamo fare una politica diversa, facendo tornare le persone a vivere nelle aree marginali garantendo servizi con la conservazione e la ricostruzione dei simboli su cui si basa l’appartenenza al territorio.
Il governo mette i soldi. Chi decide come saranno spesi?
Non io.
Se il Comune non ha margini decisionali, c’è il rischio che le modalità della ricostruzione siano imposte dall’alto?
E’ un rischio che io non corro. Abbiamo le indicazioni, sono condivise, le dichiarazioni del ministro Delrio sono state concertate sulla base della nostra idea.
Dopo il terremoto a L’Aquila ci sono stati conflitti tra il sindaco Massimo Cialente e il governo che voleva dare un’altra impostazione. Come evitare di ripetere questo errore?
Questo errore non si ripeterà perché ci siamo confrontati.
Servono regole per fare in modo che anche i sindaci possano dire la loro?
Magari fosse così. Però l’attuale governo ha deciso di ascoltare i sindaci, e questa mi sembra un’inversione di tendenza.
Secondo lei come andranno spesi i soldi?
Questo non lo so. Adesso la saluto perché sto firmando delle ordinanze in quanto sono isolato e devo cercare di creare delle strade alternative.
(Pietro Vernizzi)