Un esempio di buona politica, ma forse non solo quello. Dietro l’apertura di Silvio Berlusconi, di cui è innegabile il valore positivo, c’è probabilmente anche altro, la precisa volontà di mantenere aperto un canale di dialogo da parte di Palazzo Chigi, che potrebbe tornare assai utile il giorno dopo il referendum costituzionale.
Il vecchio leader di Forza Italia è stato lesto nell’annunciare la disponibilità del suo partito a votare “per senso di responsabilità” ogni provvedimento legislativo utile a favorire i soccorsi e la ricostruzione dopo il terrificante terremoto del centro Italia. Mossa animata probabilmente dalle migliori intenzioni, ma che potrebbe anche venir utile in un prossimo futuro. Quel richiamo all’unità ed allo sforzo comune fatto da Berlusconi sembra infatti calzare a pennello anche per un paese spaccato in due da una consultazione referendaria che continua a vedere in vantaggio i sostenitori del No, nonostante i tentativi renziani di spersonalizzare la competizione.
Il capo di Forza Italia è da mesi in stand-by. Complice anche la delicatissima operazione al cuore che ha dovuto subire, è scomparso dalla scena politica all’indomani delle amministrative, e sta soppesando le mosse future. Ha incaricato Stefano Parisi di provare a risollevare la sua moribonda creatura politica, ma non l’ha mai investito formalmente come proprio delfino. Ha mantenuto il collegamento con Salvini, senza stringere il rapporto, ma senza fare neppure nulla per allentarlo. Nessun stop implicito alla sua corsa alla leadership del centrodestra, lasciata a macerare lentamente al sole dell’estate. E, intanto, mani libere per il futuro.
Per la maggior parte degli osservatori l’ex Cavaliere è alla finestra, in attesa degli eventi. A detta di (quasi) tutti questa fase di attesa è destinata a durare sino al voto di novembre. Forza Italia è schierata blandamente sul fronte del No, e non potrebbe essere altrimenti, visti gli strappi con cui Renzi ha punteggiato il percorso delle riforme. Ma la vera partita a cui guarda Berlusconi sembra quella del dopo, quando un premier sconfitto (di misura) potrebbe avere ancora bisogno di lui.
In questo scenario Berlusconi porterebbe non solo i voti di Forza Italia, ma anche di quella rilevante parte di Ncd che scenderebbe precipitosamente dal carro di Alfano (Schifani è solo un’avanguardia), per tornare all’ovile di Forza Italia con il capo cosparso di cenere. Persino nel caso di un Renzi risicato vincitore il soccorso azzurro potrebbe tornare utile, dal momento che — sempre fra gli alfaniani — ci sono molti come Lupi che chiederebbero di passare all’appoggio esterno all’esecutivo.
Sulla via di un rinnovato patto del Nazareno, sostenuto compattamente dal partito-azienda Mediaset, Fedele Confalonieri in testa, la prima difficoltà è però costituita dalla dubbia compattezza di Forza Italia. A dimostrarlo basta il fuoco di fila di dichiarazioni polemiche con cui fra molti berluscones hanno accolto l’ipotesi sempre più concreta della nomina di Vasco Errani a commissario alla ricostruzione nell’Italia centrale. Eppure anche Renzi nel suo partito sta pensando di utilizzare il terremoto come occasione per lanciare un segnale distensivo alla propria minoranza interna.



Intendiamoci: Errani è amministratore di valore indiscusso, che ha saputo lavorare con vigore ed efficacia sul terremoto del 2012. Un’efficacia così grande da riuscire a indirizzare verso le province emiliane la quasi totalità delle risorse della ricostruzione, con buona pace delle aree lombarde colpite dallo stesso sisma. Ma Errani, prosciolto dalle accuse che lo avevano indotto alle dimissioni, è anche un bersaniano doc, anche se di quell’area rappresenta l’anima più dialogante. E valorizzarne le competenze può avere come gradito “effetto collaterale” anche la riduzione della conflittualità interna. Un abbassamento della tensione di cui Renzi ha bisogno come il pane.
Ma c’è anche un terzo fronte su cui il drammatico terremoto dell’Italia centrale sembra destinato ad avere influenza: la battaglia per ottenere dall’Unione Europea l’allentamento del rigore contabile per consentire al governo di Roma una manovra espansiva, senza aggravamento della pressione fiscale. Le avvisaglie del braccio di ferro c’erano già da fine luglio, ma ora la pressione si sta facendo sempre più evidente.
L’Italia chiederà di non tener conto, al fine del calcolo del deficit, della spesa per la ricostruzione, ma non si fermerà lì. Anche il cosiddetto piano “Casa Italia”, per la messa in sicurezza antisismica del patrimonio immobiliare del nostro paese (parecchio disastrato) dovrebbe rimanere fuori, almeno nelle intenzioni di Padoan e Renzi. I tecnici del dicastero dell’Economia sono al lavoro per fare — come si dice — di necessità virtù, e garantire una boccata d’ossigeno a un’economia che non vuol saperne di ripartire. E in vista della “madre di tutte le battaglie”, cioè del referendum, essere costretto a una finanziaria lacrime e sangue sarebbe per Renzi l’inizio della fine.

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