Il Referendum Costituzionale è un problema o un possibile mezzo per risolvere altri problemi? Il dilemma probabilmente ci accompagnerà fino al voto, se non dopo, con il senso del pacchetto riforme Renzi-Boschi alla prova degli italiani che acquisisce sempre di più peso politico più che sui contenuti. Un’esempio ieri sera alla Festa dell’Unità di Catania: scontro tra D’Alema e Gentiloni, due simboli della frattura del Pd, con la minoranza dem che ieri sera, almeno tra il pubblico, sembra aver vinto la “battaglia”. A pochi mesi dal voto – forse a novembre – ancora non è chiaro cosa pensino gli elettori Pd, figuriamoci gli italiani: «con la riforma Renzi spacca il Paese. Se vince il sì bisognerà adattare questo vestito al prossimo vincitore Di Maio. Se vince il no, si apre una discussione… Andiamo ad un referendum in cui per il sì c’è Marchionne, confindustria e le grandi banche. Per il no ci sono l’Anpi e la Cgil. È normale per un partito di sinistra?», minaccia D’Alema. Secondo il ministro degli Esteri invece bagna dire basta per una volta alle divisioni, “al Signor No qui di fronte dico che il Pd rimane l’unica comunità politica italiana nella quale si può fare un dibattito aperto e libero. Un partito che fa i suoi congressi, chi vince il congresso non solo è leader del partito ma tendenzialmente il capo del governo. E dopodiché tra un anno ci sarà un altro congresso, se D’Alema vorrà candidarsi, lo potrà fare”. Basta per capire che i contenuti del referendum siano ancora ben lungi dall’essere discussi?



Il referendum costituzionale di novembre mette ancora una volta sul piatto della disfida il problema della sinistra, con il confronto (poco) e scontro (molto di più) tra il Pd e l’Anpi, l’associazione dei Partigiani che incarnano un po’ il simbolo della sinistra radicale avversa alla nuova ventata dem renziana. La sfida va molto aldilà della semplice discussione sulla presenza o meno dalle Feste dell’Unità dei banchetti Anpi per il No al referendum sulle riforme costituzionali: un Pd che prova a ricucire la frattura interna vuole il confronto e il dialogo, almeno a parole (la Festa Pd di Firenze, città del premier, ha rifiutato la presenza dei banchetti dei partigiani, mentre Bologna dopo un primo momento ha raccolto l’invito dello stesso Presidente del Consiglio ad un dibattito con Carlo Smuraglia, leader Anpi) è il vero punto della partita e la lotta con l’Anpi racconta proprio questa tensione a riprendere una leadership a sinistra che porti un voto alle urne che scongiuri la caduta del governo e il passaggio delle riforme sulle quali lo stesso esecutivo si fonda. Poi però spunta il diktat, il pensiero “unico” per cui lo stesso Anpi scrive ai suoi tesserati quanto segue: «La posizione dell’Anpi non può che essere per il no, Un no deciso e coerente con la partecipazione alla Resistenza e con la storia della nostra associazione, che si e’ sempre battuta per la difesa e l’applicazione della Carta», scrive Ermenegildo Bugni, segretario politico Anpi Bologna. «Ogni iscritto all’Anpi deve rispetto allo Statuto e ai regolamenti e deve essere coerente con la posizione dell’associazione di cui ha la tessera». Questioni politiche, certo, ma questo voto resta libero? Sentite le motivazioni, comunque interessanti e non banali: «Per un partigiano è fastidioso sentire dire da «illustri» ministri che al prossimo referendum per la riforma della Costituzione chi voterà sì è un progressista e chi voterà no è un conservatore. Ed è fastidioso sentire accomunare in un fronte indistinto chi è per il no. Oggi non ci sono più le intimidazioni di una dittatura». Nobili motivi, ma resta la domanda: chiedere la libertà dalla costrizione del governo, costringendo a propria volta i propri tesserati con un “diktat” resta quantomeno ambiguo… (Niccolò Magnani

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