“Siamo pronti a governare!”, con queste parole Virginia Raggi ha salutato le televisioni non appena la tendenza elettorale registrata dai sondaggisti la dava in testa come sindaco di Roma.

Adesso, a meno di tre mesi dal voto, lo slogan è diventato “Non mollo”.

Travolta da enormi difficoltà — come sarebbe accaduto a chiunque fosse stato eletto — e senza alcuna vera squadra politica e tecnica, annaspa letteralmente, mentre decisioni importanti che riguardano il futuro di Roma, come la candidatura per le olimpiadi del 2024, vengono prese direttamente da Grillo.



Ancora si tengono riunioni per riempire i vuoti nella Giunta capitolina e negli staff di servizio; si cerca di sanare la frattura del direttorio del Movimento, per ripristinare un controllo sulla giunta Raggi.

A prescindere dalle diverse vicende che si sono inanellate, a partire dal caso Raineri e sino a quello De Dominicis, la crisi romana si presta a tre considerazioni di carattere generale.



La prima è che le istituzioni locali non sono meno importanti di quelle centrali e non solo nel caso di città come Roma, Torino, Parma, ma per ogni comune degli oltre 8.100 comuni che compongono l’Italia; e così anche per le 107 province che la legge Delrio ha trasformato in pessimi consorzi senza una vera guida amministrativa e per le 20 regioni italiane su cui potrebbero cadere molto presto i problemi dell’ennesima riforma costituzionale dopo che i diversi governi centrali si sono mostrati incapaci di fare funzionare il sistema amministrativo locale e regionale.

Ora, ogni forza politica dovrebbe avere una cultura dell’autonomia, dell’autogoverno e del decentramento, come vorrebbe l’articolo 5 della nostra Costituzione. Sia chi difende la Costituzione, sia chi la vuole cambiare, dovrebbe avere contezza di questi principi e sapere esattamente quali vincoli e quali obblighi comportano per le strategie politiche dei partiti.



La seconda considerazione è che la nozione stessa di partito politico è diventata totalmente imprecisa, così come i suoi compiti. Ormai, li vediamo sempre più come dei contenitori facili da manovrare e gestire, che operano usurpando il consenso elettorale. 

Senza bisogno di ricorrere alla visione nostalgica dei partiti di massa, un partito politico è qualsivoglia movimento, gruppo o associazione che si sottoponga al procedimento elettorale per assumere una responsabilità istituzionale, di governo o di opposizione, locale o centrale, poco importa. 

I due doveri dei partiti sono la selezione della classe politica, cioè di tutte le candidature, e il funzionamento delle istituzioni utilizzando — all’occorrenza — competenze tecniche. 

Entrambi questi doveri sono costantemente disattesi: per un verso, forze esterne impongono la selezione della classe politica; per l’altro, si assiste a quella che si può definire “l’alienazione tecnica del politico”.  

Al politico non si chiede di sapere tutto sul piano tecnico-scientifico, anche se qualcosa dovrebbe sapere, ma di scegliere — a suo gradimento — tecnici, possibilmente di valore, cui chiedere di conformare la decisione politica in modo scientificamente accettabile e perciò rispettando l’elaborazione che il tecnico può mettere a disposizione del politico, senza chiedere la fabbricazione di mostri, anche se, purtroppo, non mancano tecnici che, come il professor Frederick Frankenstein Junior, sono sempre pronti a esclamare “si può fare!”, invece di contrastare scelte che sin dall’inizio sono chiaramente il frutto dell’alienazione tecnica del politico e, perciò, completamente errate e politicamente dannose.

A questo punto, la terza considerazione risulta del tutto evidente e concerne ciò che accomuna il gruppo che si è formato attorno a Renzi e quello che si è formato attorno a Grillo: entrambi i gruppi credono di avere idee, ma non hanno un’ideologia che collochi il loro pensiero nella storia delle idee politiche; entrambi sono distanti dalla storia nazionale; entrambi conoscono in modo solo approssimativo come funzionano gli stati e le istituzioni europee; entrambi hanno una visione non democratica del potere, ma tendenzialmente personale; entrambi sono il frutto di una fase politica italiana inedita, caratterizzata dalla presenza di forze che perseguono interessi diversida quelli nazionali.

La politica non è un procedimento tecnico di “nudging” e un partito che non realizza il bene comune, sia a livello locale, sia a livello centrale, non si sa quanto possa durare, ma certamente non è destinato a entrare nella storia. Renzi e Grillo sono avvisati.