Ci mancava solo l’attrito con il Vaticano per complicare la situazione di Virginia Raggi. E’ vero, c’è stata una parziale rettifica, ma nelle parole di monsignor Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, c’è il succo del problema. Bisogna dar tempo al sindaco, sottolinea il prelato, perché “i problemi cronici di Roma non possono dipendere dall’attuale amministrazione, ma certamente debbono trovare presto soluzione”.
Per la prima cittadina della Capitale quell’avverbio, “presto”, è cruciale. A 80 giorni dall’elezione trionfale in Campidoglio è la completa assenza di risultati che rischia di spacciarla in un tempo incredibilmente breve.
A Palazzo Senatorio la paralisi è totale, e si riverbera su una macchina comunale incredibilmente complessa, quasi 50mila dipendenti fra impiegati diretti e nelle società partecipate, con le due maggiori, Ama (rifiuti) e Atac (trasporto pubblico) praticamente al collasso. Che fosse un’impresa ardua governare la capitale malata d’Italia lo sapevano tutti sin dal principio. Quel che è certo è che non si aspettavano nulla di così difficile.
Il valore della sfida era ben chiaro al cofondatore del movimento, Gianroberto Casaleggio, scomparso il 12 aprile senza vedere quella vittoria: “Roma è il trampolino per il governo, se falliamo siamo fottuti”.
Il rischio fallimento è dietro l’angolo. In assenza di un colpo di reni la prima sindaca donna di Roma potrebbe rischiare di non arrivare neppure a fine anno. Ma il dato politico più rilevante è che l’esperienza di governo della Capitale sta facendo emergere tutte le fragilità di un Movimento che è nato nel 2009 ed ha conosciuto una crescita impetuosa, parallela al crollo dei partiti della seconda repubblica.
Il primo punto debole emerso a Roma è la difficoltà nel riuscire a esprimere una classe dirigente all’altezza della sfida di governo. Lo si era visto molto bene nel passato, ma molti osservatori si erano limitati a parlare di crisi di gioventù. Dall’inizio della legislatura se ne sono andati 18 deputati (su 109) e 19 senatori (su 54). Ma l’incapacità di trovare nomi decenti per fare gli assessori in Campidoglio parla di una forza politica incapace di fare selezione. Dieci (o forse quattordici) i curricula sul tavolo del sindaco per scegliere il nuovo titolare della delicatissima delega al bilancio.
E la debolezza del M5s appare evidente anche nel momento in cui finisce nel cono d’ombra di alcuni dei poteri forti che da sempre fanno sentire il loro peso sulla Città Eterna. Emblematica la vicenda dell’assessore all’ambiente Paola Muraro, chiamata a spingere sull’acceleratore della differenziata e del riciclo, nonostante la sua contiguità con il 90enne Manlio Cerroni, da mezzo secolo dominus della gestione dei rifiuti nella Capitale, attraverso la proprietà della discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa, campione continentale di deroghe. Lecito dubitare che in questo modo si posso aprire un nuovo ciclo.
Altro gruppo di potere decisivo a Roma è quello dei costruttori edili, principali sponsor del progetto olimpico del 2024. La loro pressione è stata talmente forte sulla neosindaca da arrivare a un passo dal clamoroso dietrofront rispetto alla promessa elettorale di ritirare la candidatura. È’ dovuto intervenire direttamente Beppe Grillo, scambiando il suo rinnovato appoggio alla Raggi con il preannuncio di un fragoroso no ai Giochi.
Scarsa attitudine a selezionare una buona classe dirigente e debolezza rispetto alle pressioni esterne hanno poi messo in luce le profonde divisioni interne del movimento. Si uniscono clamorosi scivoloni, come quello di Di Maio sulla mail relativa alle indagini a carico dell’assessore Paola Muraro a veri e propri scontri per definire la linea politica. Di Battista, Taverna, Ruocco, l’un contro l’altro armati.
Zuffe che potrebbero dare il colpo di grazia a Virginia Raggi. Cresce, infatti, il numero di quanti meditano che un prolungamento dell’esperienza di governo a Roma porterebbe l’M5S allo sfibramento. Meglio abbandonare allora la sindaca al suo destino, scaricando sui suoi limiti tutte le colpe attraverso il meccanismo interno del “recall”. Lo spazio è offerto dal codice di comportamento interno, sottoscritto da tutti i candidati. Una sorta di messa in stato d’accusa, il cui esito finale sarebbe affidato a un voto online fra i fedelissimi.
A Quarto, in provincia di Napoli, qualcosa di simile è già andato in scena nel gennaio scorso: prima il ritiro del simbolo, poi le dimissioni di un’altra donna sindaco, Rosa Capuozzo, che doveva essere il simbolo del riscatto contro la camorra. Roma, però, non è Quarto. E sconfessare la propria portabandiera sarebbe per i grillini un colpo da Ko. Già i sondaggi nazionali indicano un calo da uno a quattro punti percentuali per via del caso Roma. Se non saranno capaci di un colpo d’ala, potrebbero vedere il loro declino cominciare proprio dalla capitale. Senza poter dare la colpa agli avversari politici, ma esclusivamente ai propri limiti, e alle proprie divisioni interne. Il tempo stringe.