Se la situazione economica italiana è così complicata, per usare un eufemismo, da mettere in affanno il governo, è inevitabile che il panorama politico diventi sempre più concitato. Tutti i tentativi di concentrare la partita sul referendum costituzionale possono diventare inutili, nonostante i periodici consigli e i suggerimenti dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al premier Matteo Renzi, che ha aggiustato il tiro nel giro di un anno, in più di un’occasione.
Il destino delle persone è veramente misterioso. Secondo Eugenio Scalfari, Napolitano era un vecchio liberal-comunista (incredibile figura mitologica creata dal fondatore di Repubblica), che è riuscito a condividere il Togliatti che, per alzata di mano, manda Imre Nagy, leader ungherese del 1956, al patibolo e poi si commuove quando va sulla sua tomba negli anni Novanta.
C’è gente che ha bisogno di tempo per comprendere, soprattutto in campo post-comunista. Umberto Terracini e Camilla Ravera, per esempio, entusiasti comunisti nel 1921 a Livorno contro Filippo Turati, arrivarono al 1969 per ammettere che a Livorno aveva ragione Turati. Quarantotto anni di storia. Non c’è male!
Marco Pannella sosteneva che in Italia (citiamo a spanne) c’è sempre stato un grande desiderio di menzogna. E in effetti, occorre dire che questo tipo di desiderio è trasversale.
In questi giorni ad esempio, anche gli autorevoli commentatori economici del mercato e del liberismo classico, sostengono che occorrerebbero investimenti pubblici e ricette keynesiane per rilanciare l’Italia. C’è un giornalista americano, da sempre in Italia, che ha addirittura sostenuto via etere che, oltre a riscoprire Keynes, bisogna infischiarsene del parametro del 3 per cento di deficit, anche se l’Europa andasse a gambe all’aria. Non sappiamo che cos’abbia aggiunto, in caso abbia ascoltato, il rigorista tedesco Wolfgang Schäuble che ha giù insultato Tsipras, Hollande e Renzi per il vertice ateniese.
Da circa 25 anni era diventato proibito citare John Maynard Keynes ed era addirittura blasfemo invocare anche temporaneamente, come diceva Keynes, l’intervento statale in economia. Lo fece notare un grande economista e storico dell’economia come Robert Skidelsky nel 1996 in un libro, Il mondo dopo il comunismo, che deve essere stato messo all’indice da uffici stampa di banche d’affari e da consulenti vari; soprattutto in Italia, dove erano tutti impegnati in una selvaggia opera di svendita, cioè di privatizzazione delle imprese pubbliche senza ovviamente una relativa liberalizzazione, a vantaggio di alcuni “amici degli amici” che fecero plusvalenze memorabili, da svendita a nuova vendita, da far invidia al mago dei procuratori calcistici Mino Raiola.
Ora l’antico bisogno italico di menzogna e di rimozione storica avveniva in tempi abbastanza lunghi, ma in questi ultimi mesi sta diventando un tourbillon frenetico e appunto concitato.
Matteo Renzi e Maria Elena Boschi erano partiti come razzi sul referendum costituzionale, quasi con un “qui si fa l’Italia o si muore”. Prima Renzi lo pone come un ultimatum per la sua permanenza al governo e addirittura per la sua carriera politica. Poi, anche per suggerimento di Napolitano, ci ripensa lentamente e gradualmente. Guarda caso le “rettifiche di pensiero” vanno di pari passo con le incertezze elettorali.
Poi c’è l’Italicum, la nuova legge elettorale, che, secondo Renzi, non c’entra nulla con il referendum costituzionale anche se qualcuno obietta e vede i due fatti in connessione. Ma durante l’anno succede di tutto. Nel Pd, di cui Renzi è anche segretario, cresce il dissenso proprio per la combinazione tra referendum e Italicum. Poi i grillini stravincono a Roma. Si comincia a mettere in discussione anche l’Italicum.
Ma non è finita. L’alternativa pentastellata, con la giunta di Roma, si rivela quasi un inizio di disastro. C’è il rischio di nuovo assenteismo nelle prossimi elezioni, anche nel referendum, perché persino l’ultima alternativa si rivela fragile e incompetente. Difficile che i voti ritornino a chi li ha persi o accrescano il “nuovismo” abbastanza stravagante. Il problema a questo punto, mentre si dovrebbe varare legge elettorale e riforma costituzionale, è quello di una democrazia quasi senza alternativa e in uno stato asfittico. Alla fine la sensazione è che si sia di fronte a un’emergenza democratica in una situazione economica difficilissima.
Infatti, dopo 30 mesi di governo Renzi c’è un fatto che si impone all’onore della cronaca. I numeri dell’economia sono impietosi: siamo tecnicamente in deflazione, con il Pil fermo e il debito che cresce. E ci sono da aggiustare due problemi piuttosto pesanti. Da un lato occorre sistemare i conti della legge di stabilità, la vecchia finanziaria, ricorrendo “a giorni alterni” (da quanto si capisce) ad altri margini di flessibilità che però il funambolico Pier Carlo Padoan dice essere non necessari, anche se si prevedeva una crescita quasi doppia di quella attuale. Poi c’è in sottofondo (si fa per dire) sempre la questione bancaria, con il Monte dei Paschi di Siena che ha bisogno di 5 miliardi di nuovo di ricapitalizzazione e, notizia dal sen sfuggita, come altre banche vede un aumento dei cosiddetti crediti incagliati. Dove finirà Mps? Forse chi lo sa meglio di tutti è il Ceo di JPMorgan, Jamie Dimon, così come il destino di altre banche. E questo quadro economico non può che influenzare qualsiasi scelta di carattere politico e istituzionale.
Ora, in questo puzzle impazzito, che cosa fa il vecchio “navigatore” Giorgio Napolitano? Fa un nuovo intervento e invia altri suggerimenti che cercano un’improbabile conciliazione tra le forze politiche. Questa volta richiama a una revisione dell’Italicum.
Matteo Renzi risponde dalla festa dell’Unità di Catania: “Noi siamo pronti a discutere di legge elettorale. C’è bisogno che gli altri facciano le loro proposte, noi faremo le nostre”. Poi aggiunge: “La verità è che questa riforma è iscritta nella storia del nostro partito. Non riduce gli spazi di democrazia, riduce le poltrone”. E per chiudere si trasforma quasi in duellante: Alcuni leader del passato vorrebbero fregarci il futuro”.
A quanto sembra e si può immaginare, la rissa non pare finita. Con tutti i problemi sul tappeto ci si chiede: quando il prossimo intervento di Napolitano?