Questa volta l’ambasciatore americano a Roma è intervenuto a “gamba tesa”, come raramente era accaduto in passato, e dovrebbe essere calcisticamente penalizzato con un cartellino giallo. John Phillips, a un incontro sulle relazioni transatlantiche, si è scoperto quasi come un fan di Matteo Renzi, di Maria Elena Boschi e del governo, dicendo che “il referendum è una decisione italiana” (bontà sua!), ma subito aggiungendo che un successo del No nel referendum sulla riforma costituzionale “sarebbe un passo indietro per gli investimenti stranieri in Italia”.
E poi l’ambasciatore ci ha pure ricamato sopra, forse con qualche tratto di velata minaccia: “Il voto sulle riforme costituzionali offre una speranza sulla stabilità di governo per attrarre gli investitori che stanno osservando quanto avviene in Italia”. Alla faccia!
In occasioni come queste, i francesi commenterebbero con un “Pisser dehors du violon”. Ma questi modi di dire, appartenenti a una vecchia diplomazia, sono ormai sorpassati e abituandoci alle gaffes dell’amministrazione Obama non c’è più traccia di nuovo o vecchio linguaggio diplomatico. Tutti ricorderanno l’effetto del presidente americano nella visita in Gran Bretagna, quando fece una sorta di endorsement pronunciandosi contro la Brexit, proprio alla vigilia del voto. Morire se ne azzecca una! La Brexit vincente è stata la sorpresa dell’anno. Fino a oggi.
Ora non è un segreto e tanto meno una novità che gli americani siano intervenuti in più di un’occasione anche sulle vicende italiane, anche su quelle di carattere economico, prima, ma sopratutto dopo il 1992. Le loro banche d’affari hanno fatto ottimi affari con le privatizzazioni italiane e servendosi di consulenti italiani che ovviamente furono ben pagati e indottrinati alla nuova economia liberista e finanziaria.
Lorenzo Necci, che è stato un grande amministratore delle Ferrovie Italiane, alla fine del 1993 aveva deciso di fare cassa per riparare ai buchi terribili dell’azienda di Stato vendendo Infostrada, che era di fatto una rete telefonica lunga 14mila chilometri e che entrava in tutte le città italiane. Necci negoziò vantaggiosamente con la Stet di Ernesto Pascale. Ma chissà per quale ragione arrivarono in fila indiana tutta una serie di consiglieri che spinsero per una vendita non alla Stet ma a Carlo De Benedetti, pur facendo guadagnare di meno alle Fs. Arrivarono nell’ordine Giuliano Amato, Romano Prodi, Carlo Azeglio Ciampi e, a sorpresa, anche l’ambasciatore americano dell’epoca Reggie Bartolomew, che “bonariamente” consigliò a Necci, convocato all’ambasciata di via Veneto, di vendere al “povero” De Benedetti, che in questo modo si farà una plusvalenza da leccarsi i baffi, rivendendo in seguito Infostrada a Mannesmann. Fatto che quasi tutti, nell’Italia della menzogna continua e della rimozione storica continua, hanno completamente dimenticato.
Sono in fondo, si dice, i grandi misteri delle relazioni internazionali, che svariano dalle scelte strategiche agli interessi di bottega. Si dice pure che gli americani abbiano anche le loro “simpatie” umane in diversi Paesi. In Italia, l’Fbi americana conferì addirittura un premio all’allora prefetto Gianni De Gennaro e quando questi si spostò a presiedere Finmeccanica, si dice che la simpatia americana si sia spostata soprattutto su un incorruttibile come Raffaele Cantone, l’attuale presidente dell’Autorità anti-corruzione.
Ora, per carità. Vero o falso che sia, in questo tam-tam di voci o di “soffiate” non c’è proprio nulla di male e di spiacevole. Il problema attuale è che, paragonando la vicenda di Infostrada a quella di questi giorni, su un terreno prettamente politico, sembra che gli americani abbiano perso anche quel minimo di discrezione che porta ai grandi affari, alle scelte politiche, alle scelte strategiche e agli appoggi di diversa natura.
Insomma quello che ha dato fastidio in questa dichiarazione dell’ambasciatore John Phillips è l’invadenza un po’ sfacciata nel dibattito politico, piuttosto acceso (chissà se se n’è accorto?) che si sta trascinando in Italia.
Con un Pd lacerato e scombussolato, con le forze politiche che si scontrano pesantemente su referendum e Italicum, con il nuovo e il vecchio presidente della Repubblica che cercano di trovare una strada di minima conciliazione e di evitare un conteggio selvaggio fino a un “testa attesta” controproducente, arriva l’ambasciatore americano con la tempestività di un elefante in un negozio di maioliche. Riproponendo in questo modo anche un’immagine dell’Italia come un Paese esposto alla speculazione internazionale e quasi marginale rispetto al grande rilancio economico legato agli investimenti.
Aggiungiamo pure un ‘altra considerazione. C’era fino a qualche tempo fa un legame di simpatia tra il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e gli americani. L’uscita di John Phillips non è piaciuta ai pentastellati, a quanto si dice. Colpa della confusione dell’ambasciatore o di un nuovo improvviso cambiamento di strategia?