“L’avesse fatto Berlusconi”: difendere gli interessi italiani in Libia e nel confine marittimo a sud. Ma difenderli per davvero: non mandando un manipolo di parà in missione para-umanitaria per dare assistenza medica alle milizie “buone” di Misurata (e soprattutto tenere buoni importanti alleati).



Nel 2011, invece, sotto le bombe dei raid inglesi, francesi e americani che decollavano dalle basi italiane non c’era solo il colonnello Gheddafi: c’era anche il premier italiano, già sotto attacco via spread. Berlusconi fu sfrattato da Palazzo Chigi e l’Eni fu sfrattata dalla Libia: dove non arrivò mai nessun export di democrazia. Arrivarono la guerra civile e tribale attorno ai pozzi; sono arrivati l’Isis e i grandi trafficanti di migranti. Tutto mentre in Italia si chiedeva solo di “fare presto”.



“L’avesse fatto Berlusconi”: di mandare in tivù il ministro dell’Economia a chiacchierare in libertà del ricambio dell’amministratore delegato di una società quotata, di una banca in pesante crisi sotto stretta vigilanza della Bce. L’opposizione lo avrebbe aggredito con le parole usate — pochi giorni fa, sempre a Porta a Porta — dal premier-segretario Pd Matteo Renzi: “Fuori la politica dalle banche, giù le mani”, eccetera. Invece quando avrebbe potuto — e forse dovuto — dir la sua su Antonveneta e Bnl, Berlusconi fu subito intercettato e dato in pasto a nuove accuse di conflitto d’interesse. In Bankitalia arrivò Mario Draghi e Antonveneta — venduta a furore giudiziario agli olandesi — fu ricomprata due anni dopo da Mps a condizioni suicide. Premier era Romano Prodi e ministro del Tesoro Tommaso Padoa Schioppa, ex membro dell’esecutivo Bce. “L’avesse fatto Berlusconi”.



“L’avesse fatto Berlusconi”: ritirar fuori dalla sera alla mattina lo scudo fiscale per i capitali clandestini all’estero al fine di tappare all’ultimo un bucone in finanziaria, invece di fare spending review.  Oggi — per la nuova voluntary disclosure da 4 miliardi — difficilmente leggeremo accuse al ministro dell’Economia (allora Giulio Tremonti): di essere un avvocato d’affari al servizio dei ricchi e potenti. Non sentiremo denunciare la politica dei condoni permanenti come la negazione della democrazia fiscale e il trionfo dell’impunità finanziaria. L’importante è buttar già una legge di stabilità purchessia e non turbare i sonni dei dipendenti pubblici prima del referendum. E pazienza se il governo italiano — portabandiera dell’antirigorismo nella Ue — non abbasserà le tasse come invece si accingerebbe a fare perfino quello tedesco.