Nella Bibbia sta scritto “seminarono vento, raccolsero tempesta”. A questo terribile insegnamento non possiamo smettere di pensare quando vediamo sfilare davanti a noi nei mass-media e nei social network il volto di Virginia Raggi che dichiara di non volere le Olimpiadi a Roma nel 2024 e di non proclamare neppure il promesso referendum in merito, così come aveva annunciato durante la sua campagna elettorale. Ma dietro il volto della Raggi, in un gioco di specchi, non possiamo non vedere la serie infinita di volti appartenenti alla classe politica e al mondo dell’informazione che, a partire dalla prima metà degli anni Novanta del Novecento, hanno seminato quel vento che ora è diventato tempesta. 



Parliamo della cultura del sospetto, parliamo di un’antropologia negativa dell’umano per cui chiunque si affacci alla vita pubblica o disponga di quel potere situazionale di fatto che è il potere della ricchezza, in qualunque forma essa visibilmente si manifesti, ebbene costui è ipso facto un malfattore, un dedito al male, in parole povere un disonesto. Questo vento ha fatto la fortuna di quotidiani specializzati in tale antropologia negativa, di opinionisti che su importanti quotidiani e su diffusissime catene televisive hanno fatto la loro fortuna effimera, certo, ma efficacissima per costruire una sorta di universo simbolico in cui nessuno trova salvezza. 



Tutti siamo sommersi in un orizzonte pregiuridico, perché il vento di cui parlo soffia impetuoso partendo dalle gole carsiche della cosiddetta società civile, che si è ormai costituita in una sorta di tribunale supremo di dittatoriale memoria. Naturalmente di questo universo simbolico si sono nutrite intere classi politiche tutte le volte che esse si sono proposte nell’agone elettorale. Nessuna di queste classi è sfuggita a questa sorta di malattia amorale che ricorda da vicino quello che abbiamo imparato a studiare in quelle che un tempo si chiamavano società arretrate, ossia non ancora illuminate dal chiarore purificante della fedeltà alla legge e al rispetto del principio di innocenza che deve valere per tutti. 



Del resto l’universo simbolico di cui parlo è simile a quello del familismo amorale (ossia dell’orientamento all’azione di coloro che fanno spregio della legge e di qualsivoglia regole per difendere gli interessi propri e di tutti coloro che al familista son legati da costrutti biologici o di dipendenza clientelare) in un punto cruciale. Questo punto è l’assunto che anche coloro che dichiarano di agire solo per interesse generale e di avere comportamenti di assoluto rispetto della legalità mentono sempre. Il familista amorale, infatti, non riesce neppure a concepire che esistano persone mosse da altruismo, senso del dovere, universalismo di qualsivoglia natura. 

Come si sarà ben inteso, si tratta di un vento che ha generato uno sfacelo morale immenso, con conseguenze gravissime per quel che concerne la stessa esistenza di uno stato di diritto; dirò di più: della stessa esistenza dello stato tout-court. Tutti sono immondi, tutti sono peccatori, tutti coloro che portano sulle spalle i mattoni della vita sociale lo fanno per nascondere i sacchi d’oro che in realtà i mattoni ricoprono artatamente. Impossibile costruire, per esempio, una piscina. Come in un miracolo a rovescio, l’acqua si trasforma subito in fango, e su questo fango si sono costruite intere fortune politiche e non solo per quel che riguarda il Movimento 5 Stelle. Si tratta di un universo simbolico trasversale e quindi dannosissimo. 

Bisogna dar atto a Matteo Renzi di essersi opposto a questo vento e di aver continuato a camminare, anche se via via le raffiche diventavano più forti, come dimostra la tempesta romana in merito alla vicenda olimpionica. Non si tratta infatti solo di una sconfitta del governo, ma di una sorta di disvelamento della catastrofe dello spirito pubblico che è in corso in questo Paese da ormai troppi anni. 

Non possiamo più rinviare l’impegno di dover costruire un’antropologia positiva che rifondi, in senso costruttivo, lo spirito della Repubblica.