Renzi prende tempo e si fa beffe della minoranza del suo partito. Ma può permettersi di disattendere le raccomandazioni di un padre della riforma come Giorgio Napolitano? Lo abbiamo chiesto a Peppino Caldarola, già direttore de l’Unità, saggista, deputato per due legislature. Per Caldarola il Pd non ha segreti. Così, si viene a sapere che a Matteo Renzi potrebbe accadere esattamente quel che è successo a Enrico Letta. “Napolitano sta intervenendo molto e, se posso dirlo con rispetto, persino troppo. La ragione di questo suo interventismo è che le due leggi più discusse (Italicum e ddl Renzi-Boschi di riforma costituzionale, ndr) sono state concepite durante il suo mandato”.



E per quanto riguarda Renzi, Caldarola?

Da non renziano, dico che Renzi sta giocando la partita in modo intelligente. Con una mozione parlamentare così generica come quella dell’altro giorno, fa sapere a tutti di essere pronto a trattare, ma anche di non voler rinunciare né al maggioritario né al ballottaggio. Per ora ha ricevuto solo due risposte, dai 5 stelle e dalla sinistra Pd.



Insomma il problema riguarda gli altri, non lui.

Proprio così. Renzi non si nasconde dietro l’elaborato del suo governo, questa è l’idea che il premier sta consegnando all’opinione pubblica. Sono gli altri a dover tirare fuori proposte che abbiano una maggioranza. 

Con quali risultati?

Alla sinistra Pd, di fatto Renzi dice: il problema oggi non è chi presenta la proposta esteticamente più bella o che appare più perfetta, ma quella che può prendere i voti necessari in parlamento. Bersani e Speranza non hanno capito che lo stanno aiutando. E’ come se gli dicessero: questa è la nostra proposta, trova tu i voti che servono. Fantapolitica.  



Ma la minoranza dice: il Pd ha i numeri per imporla.

Commette due errori. Il primo è chiedere al parlamento di approvare una legge di partito. Il secondo, dimentica che essendo nato il Mattarellum 2.0 all’interno del Pd, è legittimo che altre componenti del partito non lo vogliano.

Caldarola, parliamo di Franceschini. Ha approvato, e forse voluto più di Guerini, la mozione unitaria di maggioranza. E’ un azionista importante del governo Renzi. E’ il garante del rapporto Renzi-Alfano. Vada avanti lei, se vuole.

Franceschini è centrale perché è un navigato uomo politico, perché il suo sistema di alleanze interno è più largo della sua area, dialoga con il mondo renziano dissidente pur essendo socio di maggioranza del governo… Diciamo che rappresenta un’ipotesi su cui lui stesso è probabilmente il primo a scommettere.

Per esempio?

Che si determini, diciamo così, una situazione nella quale Renzi debba dimettersi.

Come la vittoria del No al referendum.

Io sono sicuro che se Renzi perde il referendum, malgrado dica il contrario e i suoi avversari giurino che non lo farà, dovrà dimettersi. 

A questo punto una soluzione sarebbe il voto immediato. 

Contro il quale c’è però un argomento molto solido: sarebbe un voto in un contesto politico privo di legge elettorale. Questa situazione potrebbe indurre il presidente della repubblica ad ipotizzare un cosiddetto governo di scopo, con l’esclusivo compito di fare la legge elettorale. E qui arriviamo al dunque. Dove si sceglie il candidato? Fuori dal Pd? Non avrebbe i voti dem. Un avversario storico di Renzi? Sarebbe lo stesso. Si potrebbe però individuare un democratico esperto, qualcuno che non fosse per Renzi un concorrente alle elezioni che si terrebbero di lì a poco, perché il paese non potrebbe cambiare ancora governo senza andare alle urne. La partita di Franceschini è qui.

 

Secondo lei Bersani guarda a Franceschini con la dovuta attenzione?

Sì, anche se il vero problema è che Bersani e Speranza sono catturati da Massimo D’Alema. Per non farsi sottrarre da D’Alema il loro seguito congressuale, sono costretti ogni volta ad alzare i toni, a tergiversare e poi ancora ad alzare l’asticella. 

 

Inevitabile che si arrivasse a D’Alema.

Si tratta di capire se D’Alema si accontenterebbe di una fuoriuscita di Renzi, e quindi di una soluzione Franceschini o chi per lui, o se invece pensa che il Pd sia un amalgama così mal riuscito, che è meglio fare un altro amalgama da un’altra parte. 

 

Cosa vuol fare D’Alema, Caldarola?

Vuole rifondare una sinistra diversa. Ha in mente il patto tra riformisti e radicali che non volle fare nel 2001 quando propose Fassino contro il “correntone”. Questa operazione oggi ha qualche possibilità solo se D’Alema sceglie la strada di Bernie Sanders.

 

Bernie Sanders? E quale sarebbe?

Candidarsi lui come anti-Renzi. Il congresso non è lontano. Se potessi lo sconsiglierei ma il limite della sua azione è che prima o poi deve passare la mano. Non è credibile che faccia diventare leader il giovane Stefano Schwarz (ex renziano, coordinatore del comitato dalemiano del No, ndr), perché la nomina non funziona. Come ai tempi di Re Artù, dovrebbe appoggiare la sua spada sulla spalla di qualcun altro. Il problema è che questo cavaliere non si vede.

 

E se D’Alema non consegna la spada?

Non si capisce la sua battaglia. Io ho grande affetto per D’Alema, ma non ho mai creduto neppure per un secondo che si stia battendo contro una cattiva riforma. Si sta battendo per scalzare un segretario e un presidente del Consiglio che non gli piace e che reputa deleterio. E nota bene: tutto quello che D’Alema dice contro Renzi non va letto in chiave di rancore, ma di giudizio politico. 

 

Quindi?

Quindi deve immaginarsi che Renzi cada. Significa avere un piano per il giorno dopo. In tanti, quasi tutti, gli chiederebbero: bene, adesso cosa ci proponi? A quel punto, D’alema potrebbe dire sì a Franceschini.

 

Non potrebbe proporre se stesso? 

No, perché la sua persona è molto, troppo divisiva e lui lo sa. Sarebbe del tutto diverso dal fare il principale azionista politico del No. Però potrebbe tentare di proporre se stesso nella formula di Bernie Sanders. Violante ha giustamente sostenuto che chi ha grande esperienza politica oggi deve avere un ruolo di supporto; a meno che non ritenga che questo ruolo non è adeguato o sufficiente. A questo punto non gli resta che candidarsi, sottoporsi al voto popolare. 

 

Perché Sanders?

Quando Sanders ha visto che la Clinton non gli piaceva, pur avendo più anni di D’Alema ha fatto la sua battaglia, che ha perso molto dignitosamente, ma con una contropartita: ha modificato il programma della Clinton.

 

Lei stesso tuttavia ritiene che D’Alema abbia solo “qualche possibilità” di fare come Sanders. Perché?

Sanders aveva il vantaggio di non essere mai stato al vertice, di non essere mai stato “casta”. Ma Massimo…

 

(Federico Ferraù)