Quanto è difficile ripartire da Palermo… Il primo ad averlo chiaro è Beppe Grillo, che è dovuto accorrere per rialzare la sua creatura che annaspa. Minimizza, parla di qualche piccolo errore, ma di fatto deve ammettere che gli errori ci sono stati, eccome.
Impreparazione, personalismi, rivalità, contrasti sulla linea politica da tenere, tanto in parlamento, quanto nelle amministrazioni locali che si sono moltiplicate da giugno. Pesa il pasticciaccio di Roma, dove Virginia Raggi fatica oltre ogni aspettativa, e — di fatto — ha gettato al vento i suoi primi cento giorni in Campidoglio. Ma non è che i sindaci a 5 Stelle brillino di più altrove. Si pensi a Livorno, a Parma, a Civitavecchia.
Il comico genovese appare perfettamente conscio che a Roma il movimento si gioca la faccia: un fallimento nella capitale potrebbe significare l’inizio del declino. Per ora lui assicura che il calo nel consenso è solo di un paio di punti, e forse tira un sospiro di sollievo constatando che le elezioni politiche sono abbastanza lontane.
Il tempo per recuperare c’è, ma dentro la sua creatura non c’è nessuno in grado di prendere il timone in questa fase. Il direttorio ha fallito su tutta la linea, anche se non si può dire apertamente. Da Di Maio e soci si aspettava di più, ha dovuto invece prendere atto che forse i suoi ragazzi, troppo impegnati in guerricciole intestine, non sono ancora maturi.
Se qualcuno ha dei dubbi su una simile lettura, cerchi spiegazioni differenti alla scelta di Grillo di ritornare in campo. Non aveva scelta: il rilancio del Movimento 5 Stelle non poteva che passare ormai per il suo annuncio: “Se devo fare il capo politico, lo farò”. Non più garante, quindi, ma in campo per aprire una seconda fase nella breve storia pentastellata. Il “passo di lato” dei mesi scorsi è stato abbondantemente rimangiato. E il suo ritorno sarà pure a tempo pieno.
Grillo lo spiega così: “Voglio dimostrare che possiamo governare Torino, Roma, Livorno anche con gli sbagli che abbiamo fatto”. L’imperativo è quello di voltare pagina, quindi, commissariando quell’embrione di vertice cui era stato delegato il comando. Pesa l’assenza di Gianroberto Casaleggio, la mente politica e organizzativa dei 5 Stelle. Grillo lo dice apertamente. Il figlio Davide proprio alla kermesse di Palermo è atteso alla prova del fuoco della sua leadership, ma nel frattempo non può che toccare al comico.
Riprendere in mano il timone, però, non sarà affatto facile. Roma sarà il primo banco di prova, con l’urgenza di aiutare la Raggi a decollare dopo la falsa partenza, e il rischio di una clamorosa rottura con il movimento. Il no alle Olimpiadi è stato imposto dall’alto a un sindaco tentennante. A molti osservatori è parso una sorta di “prova d’amore”. La verifica di una fedeltà di cui erano in parecchi a dubitare. Ora però la Raggi deve governare: ha bisogno di uomini (assessori) e di idee.
Servono idee anche a livello parlamentare, dove la linea politica negli ultimi mesi è apparsa confusa e, spesso, contraddittoria. Non la manda a dire Grillo, che definisce i suoi deputati e senatori “un po’ stanchi, un po’ logorati”. Parole che sembrano evocare il celebre video in cui il co-fondatore e garante del movimento, nel novembre del 2014, si definiva “un po’ stanchino” e lanciava i 5 del direttorio. Adesso, è il contentino al resto dei militanti, in tv andranno tutti, sulla base dei temi e delle competenze.
In ogni caso, per ora formalmente il direttorio sembra rimanere, con Di Maio al suo vertice, anche se depotenziato. Più avanti si vedrà. Nel frattempo si torna di fatto all'”uno vale uno”. Sarà il capo carismatico ad avere l’ultima parola su partite chiave, come la legge elettorale. E’ questo un terreno su cui i voti targati M5s potrebbero pesare. E l’apertura al ritorno al sistema proporzionale, il “democratellum”, sembra in grado di poter aprire scenari d’intesa con ampi settori del centrodestra, ma anche della maggioranza di governo. Eppure, e qui sta un’evidente contraddizione, non esiste esperto che non giudichi i grillini i più favoriti dall’Italicum targato Renzi-Boschi.
La partita della legge elettorale si giocherà però solamente dopo il referendum costituzionale. E per giocarla da una posizione di maggiore forza Grillo non potrà che chiedere ai suoi di ricompattarsi sul fronte del No. L’unità interna è la precondizione per poter recuperare ruolo e peso politico. E se vincerà il No anche Renzi dovrà scendere a patti con le opposizioni, grillini compresi.
Ma anche qualora vincesse il Sì l’unità interna sarebbe fondamentale. Se il cortile grillino diventasse un pollaio ancora più litigioso di oggi il suo spazio politico andrebbe inesorabilmente a chiudersi. Per cui Grillo sarà inflessibile: fase due, nuovo codice di comportamento, tutti uniti, e uno vale uno. Tranne uno, più uguale degli altri. Ma forse più lucido di loro, anche se leader riluttante.