Come si può definire l’attuale momento della politica italiana? Il referendum costituzionale del 4 dicembre e il suo risultato, per molti versi inaspettato, ha creato incertezza e confusione anche se, dopo le dimissioni di Matteo Renzi da presidente del Consiglio, la crisi di governo è stata risolta in tempi brevissimi e un nuovo governo di cosiddetta “continuità” è stato nominato con un nuovo premier, Paolo Gentiloni.
Al momento tutto sembra concentrato sul prossimo voto, sulla riunione della Consulta che deve decidere sulla legge elettorale. Senza però dimenticarsi che un “governo deve governare” e che bisogna affrontare problemi complessi di carattere nazionale e scadenze internazionali, come ha ricordato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo messaggio di fine anno. Alla ripresa politica, dopo le vacanze di Natale, permangono queste situazioni di nervosismo e di incertezza. Ma il problema è soprattutto quello di definire quello che in gergo si dice il nuovo “quadro complessivo” con tutte le sue implicazioni.
Politico di lungo corso, grande personalità della Repubblica, l’ex presidente della Camera Luciano Violante cerca di fare il punto di questo momento indubbiamente complicato.
Presidente Violante, che fase sta attraversando il Paese? Come la definirebbe: piena di movimento o attendista?
La possiamo chiamare semplicemente una fase postreferendaria con tutti i contraccolpi che ha comportato. Il risultato è stato determinato più da un voto sul governo, sulla politica del governo, che da un voto sul referendum costituzionale. E’ stata bocciata una riforma che, pur non essendo perfetta, era migliorativa dello stato delle cose. In questo modo il Paese ha respinto un modello di democrazia decidente, capace di decidere e non solo di rappresentare: è stato, automaticamente, riesumato il vecchio sistema proporzionale e, di fatto, è stata rifiutata quella modernizzazione, pur con tutti i limiti che conteneva la riforma. Ripeto, è stato un voto sul governo.
C’è chi fa notare che adesso si aspetta soprattutto di andare presto al voto. E si attende quasi con ossessione la risposta della Consulta sull’Italicum.
Indubbiamente molti parlano di questi problemi, ma non dovrebbero trascurare altri problemi che si presentano sul piano nazionale e sul piano europeo. Si devono fare i conti sia con questa situazione postreferendaria sul piano interno, e si devono fare i conti anche sul piano europeo, dove sembra stravolta la dialettica classica tra le forze politiche. Oggi si è passati dalla battaglia politica tra socialdemocratici e liberaldemocratici a uno scontro tra socialdemocratici e liberaldemocratici da un lato contro esponenti dei partiti antieuropei e del nazionalismo etnico. Penso che questo avverrà quest’anno in diversi Paesi dove si vota. E’ una situazione veramente complicata, che può creare tensioni e contraccolpi notevoli, anche sulle politiche dei singoli Stati.
Che cosa può provocare tutto questo?
Ho visto che Grillo ha fatto un referendum sul cambio di gruppo di Europa, attraverso il solito strumento di internet che non mi sembra garante di un’autentica scelta democratica. E poi Verhofstadt ha rifiutato l’accordo. Ma a parte queste manovre che riguardano il Parlamento europeo, intravedo la possibilità di una conversione di intenti tra Movimento 5 Stelle e Lega Nord da un lato, con un possibile riferimento internazionale a Vladimir Putin, e dall’altro una possibile convergenza tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. La traduzione italiana, in fondo, di quella nuova bipartizione che ho citato prima.
Mi scusi se ritorno a un tema caldo per l’Italia: il sistema elettorale. Lei preferisce il Mattarellum o il proporzionale?
Il Mattarellum senza dubbio. Il proporzionale comporta diversi problemi, tra cui il ritorno alle preferenze con tutti i rischi che questo può comportare e poi anche costi.
Come giudica quelle che si potrebbero chiamare “apprensioni” del presidente Mattarella emerse nel discorso di fine anno?
Ho un grande rispetto per il ruolo del Presidente e non mi permetto di giudicare il suo lavoro. Ma mi ha impressionato nel suo discorso l’immagine che ha espresso di una società divisa, il passaggio sull’uso dell'”odio” in politica. Mi ha colpito perché si vedono chiaramente i sintomi non solo di un uso strumentale di questo “odio” politico, ma anche quelli di una società che quasi sta facendo sfoggio di una totale mancanza di rispetto.
E’ un grande problema.
A cui siamo tutti chiamati a lavorare. Un problema su cui tutti dovremmo impegnarci. Parlando, attraverso un rinnovato studio di pedagogia civica, di diritti ma anche di doveri.
(Gianluigi Da Rold)