Renzi è tornato a Roma dopo la pausa natalizia e lavora alla nuova segreteria del partito. Un reset che vedrebbe entrare in campo nuovi nomi, dall’ex magistrato ed ex senatore Pd, oggi scrittore, Gianrico Carofiglio al sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà e al primo cittadino di Ercolano Ciro Buonajuto. Tutte ipotesi non confermate. “Temo” dice Antonio Padellaro, già direttore e oggi editorialista del Fatto Quotidiano — “che il segretario del Pd intenda giocare sulla memoria corta del paese”.
Quali sono le intenzioni dell’ex premier?
Renzi ha conservato gelosamente il ruolo di segretario del Partito democratico. Aveva detto che se avesse perso il referendum avrebbe lasciato la politica; si è dimesso da presidente del Consiglio, è vero, ma sul Pd è sempre stato molto vago. Non poteva essere altrimenti.
Perché?
Sa che se vuole avere delle ambizioni di governo deve ripartire dal Pd. Si è reso perfettamente conto che con un partito strutturato secondo le vecchie logiche, che lui in questi anni non ha cambiato di una virgola, il risultato sarebbe sempre lo stesso: l’impossibilità di affrontare i temi reali del paese.
Quali vecchie logiche? Che cosa intende?
Renzi aveva annunciato la rottamazione generale, poi però non ha rinnovato alcunché: i rottamandi sono rimasti al loro posto continuando a fare ovunque il bello e il cattivo tempo. Vedasi Vincenzo De Luca in Campania.
Il segretario del Pd come pensa di risollevarsi dalla batosta del referendum?
La politica per Renzi è una campagna elettorale permanente, e le battute d’arresto, come la sconfitta del 4 dicembre, sono solo una parentesi, una pausa. Anzi, per lui ora si tratta di ripartire alla carica perché entriamo nella fase più importante.
Quella del voto a giugno? E’ risaputo che Renzi ci crede eccome.
Certo, ma ora è costretto a giocare su vari tavoli. Prima era l’uomo solo al comando, era lui a dare le carte. Dopo la batosta del 4 dicembre ha dovuto cedere il passo a Mattarella, che non si fa ingabbiare dalle sue pretese. Infine c’è un nuovo presidente del Consiglio.
Come vede la posizione di Gentiloni?
Gentiloni deve decidere cosa vuol fare da grande. E’ a un bivio: o fa il presidente del Consiglio servendo gli interessi del paese — e alimentando, perché no, anche una legittima ambizione su Palazzo Chigi e l’immediato futuro. Oppure si rassegna a fare da segnaposto borghese e garbato a Matteo Renzi, scaldandogli la poltrona in attesa del ritorno. Se fosse così sarebbe una fortissima delusione. Gentiloni deve governare bene e giocare le sue carte.
Da giorni Repubblica ci spiega che Renzi vuole aria nuova nel partito. Poi leggiamo che tra i nomi che circolano ci sono Nannicini, da Empoli, Guerini, Serracchiani, Taddei. Non sono sempre gli stessi?
Renzi non può fare a meno di una pattuglia di fedelissimi, che sono in parte quelli che hai detto. Poi, dato che il 4 dicembre i giovani gli hanno votato contro, deve rinfrescare l’immagine portando dentro qualche faccia nuova come Carofiglio. Vedremo. Il problema però mi sembra un altro.
E sarebbe?
Renzi resta sempre Renzi. Oggi, anche grazie al suo governo, la disoccupazione giovanile è al 39,4 per cento. Vuol dire che quattro giovani su dieci sono a spasso. Con una situazione di questo genere gli spot potrebbero non bastare.
Renzi ha fatto un’analisi politica della sconfitta?
Direi di no. La direzione Pd successiva al 4 dicembre resterà negli annali come una sorta di riunione allucinata in cui si parlava non si sa bene di chi; poi c’è stata l’ammissione della sconfitta in assemblea nazionale: “abbiamo straperso”. L’impressione è quella di parole dette ma sganciate dal loro senso.
Con queste premesse, che cosa farà Renzi?
Temo che intenda giocare sulla memoria corta degli italiani.
Chi deve temere di più l’ex premier? Pisapia, Bersani, D’Alema o chi altri?
No, questo è tutto politichese, anche Pisapia è solo una stampella creata alla bisogna. Renzi deve temere gli italiani. Che lo hanno bocciato. Ma non è saggio giocare sulla memoria corta di un paese che non cresce, cha ha la disoccupazione a questi livelli e le banche messe nel modo che sappiamo. Sarebbe una scommessa sbagliata, perché un paese in queste condizioni ha la memoria più lunga, non più corta.
Insomma, Renzi dovrebbe riflettere di più sul risultato elettorale del 4 dicembre.
Sì, se n’è parlato troppo poco, quasi avendo fretta di archiviarlo, di metterlo nel cassetto. Con il rischio di non capire cos’è successo.
Torniamo a Gentiloni. Tutti ci prepariamo a che Renzi possa staccargli la spina. Sarà così?
Non credo, e per un motivo semplice: cosa fatta capo ha. La maggioranza è la stessa, la squadra è quasi una fotocopia, però il presidente del Consiglio non è Renzi, è Gentiloni. Per questo a me sembra complicato che Renzi possa dire “decido io”. Ammesso che lo dica, il Pd lo segue compatto? E Mattarella anche? Chi si prende la responsabilità di dire davanti al paese che si va al voto perché Renzi vuole la rivincita? C’è un’opinione pubblica, scusami l’espressione, che definire incazzata è dire poco.
E il Movimento 5 stelle?
Con tutte le sue giravolte e i suoi errori, oggi è ancora il primo partito. Se non è così, poco ci manca.
(Federico Ferraù)