La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum proposto dalla Cgil sull’articolo 18, mentre ha dato il suo via libera a quelli sui voucher lavoro e sugli appalti. Gli italiani saranno chiamati alle urne probabilmente in primavera, tra il 15 aprile e il 15 giugno, come previsto dalla legge. Il sindacato di corso d’Italia non rinuncia alla sua battaglia sui licenziamenti e Susanna Camusso ha già fatto sapere che si valuterà la possibilità di ricorrere alla Corte europea. «Teoricamente è possibile, ma concretamente non credo che ci siano gli estremi per ricorrere», ci dice il costituzionalista Stelio Mangiameli.
Professore, innanzitutto cosa ne pensa della decisione della Corte. Era prevedibile?
I giudizi della Corte Costituzionale non sono mai prevedibili, in quanto il giudice costituzionale dispone di una flessibilità nelle sue valutazioni che manca a tutti gli altri giudici, compresa la Corte di Cassazione; tanto più, poi, in un giudizio di ammissibilità di una richiesta di referendum abrogativo, nel quale i parametri del giudizio, e cioè quelli sull’ammissibilità o l’inammissibilità della richiesta di referendum, eccezion fatta le leggi escluse in via costituzionale (le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali), si basano spesso su valutazioni impalpabili e dipendono, spesso, dal convincimento “politico” della Corte; la qual cosa è peraltro più che fisiologica, attesa la posizione costituzionale di questo giudice e la forte carica politica delle sue attribuzioni.
Il quesito dichiarato inammissibile era già stato criticato nei giorni scorsi perché di fatto si sarebbe dato vita non a un referendum abrogativo, ma addirittura “propositivo”, dato che avrebbe fatto valere l’articolo 18 anche per le aziende sopra i 5 dipendenti. Può essere per questo motivo che è stato bocciato?
Non si conosce ancora la motivazione della decisione, ma è molto probabile che la manipolazione del testo di legge che si sarebbe compiuta con il referendum, nel caso di esito positivo, sia stata considerata incompatibile con i parametri di ammissibilità propri dell’atto abrogativo. La Corte nella sua giurisprudenza ammette solo entro determinati confini una certa manipolazione normativa. Resta il fatto che questa richiesta, delle tre presentate, era quella con una maggiore carica politica; non foss’altro per il forte carattere simbolico che ha avuto e ha l’articolo 18; non averlo ammesso, perciò, si presta facilmente a delle speculazioni politiche, ma con molta probabilità era troppo pretensioso il quesito, che andava elaborato con una cura maggiore.
Se è vero quanto detto, come mai i giornali parlavano di una Corte “spaccata” sulla decisione da prendere?
A prescindere dal fatto che spesso questi gossip sono infondati e frutto di un retro-pensiero dei media, non c’è da meravigliarsi se i giudici della Corte hanno opinioni diverse e, a volte, persino opposte sulle decisioni da assumere. Del resto, la composizione della Corte e la provenienza politica della maggior parte dei giudici porta a mettere insieme quasi naturalmente – come detto – valutazioni giuridico-costituzionali e di tipo politico e il momento politico attuale in cui opera la Corte è un momento controverso.
La sentenza ha anche risvolti politici. Si diceva infatti che in caso di esito positivo si sarebbe cercato di andare a elezioni prima che gli italiani fossero chiamati a votare sul referendum. Cambia qualcosa da questo punto di vista?
Ho letto sui giornali queste illazioni, ma appunto si tratta di mere congetture. Il funzionamento del sistema istituzionale della Repubblica è un tantino più complesso. In primo luogo, quando parlo di valutazioni politiche della Corte, intendo di politica costituzionale nel senso più alto e significativo e non di politica come bassa cucina. La Corte ha ammesso i referendum che riteneva di ammettere, certamente senza la preoccupazione di assecondare i desideri di chi vuole andare a votare subito e pensa che l’intero sistema vuole evitare di celebrare i referendum. E poi, soprattutto, delle elezioni decide il Presidente della Repubblica, sulla base di una sua esclusiva valutazione, e sarebbe come fargli un torto pensare che lo si possa tirare per la giacca. A mio avviso, perciò non cambia nulla e, se interpreto bene i segni che emergono dal quadro istituzionale, vi sarà il tempo per votare i referendum e poi di pensare al voto delle elezioni politiche generali.
Il referendum “principale” resta ora quello sui voucher. Tuttavia Poletti ha già detto che metterà mano alle norme sull’utilizzo di questo strumento. Facendolo si “disinnescherebbe” anche il referendum?
Non è detto. Non basta, infatti, una qualsiasi modifica del testo di legge per fare cessare le operazioni referendarie; occorre che la modifica legislativa cambi radicalmente il regime giuridico che prevedeva e, soprattutto, che vada in direzione della volontà dei richiedenti il referendum; altrimenti il quesito referendario può essere trasferito, a opera della Cassazione, sul nuovo testo di legge.
A fianco della Cgil c’era anche un parte del Pd. La sentenza della Corte rappresenta quindi una vittoria per il Segretario Renzi che potrà anche continuare ad appuntarsi al petto il merito del Jobs Act, la più importante riforma italiana degli ultimi anni?
La richiesta del referendum è un atto politico e ancor di più la realizzazione del risultato abrogativo. In questo caso, diversamente dal referendum del 4 dicembre, abbiamo il doppio quorum. Infatti, l’abrogazione referendaria si realizzerà solo se parteciperà alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se sarà raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. Si tratta di portare al voto oltre ventiquattro milioni di elettori. Non è semplice. In ogni caso le conseguenze politiche di questi referendum dipendono da diversi elementi e potrebbero esserci anche nel caso di non raggiungimento del quorum, come accadde già con il referendum NO-Triv, che portò al voto oltre quattordici milioni di elettori. Il governo invitava ad astenersi dal voto e il quorum non fu raggiunto, ma il risultato referendario segnò lo stesso l’inizio del declino del governo Renzi.
(Lorenzo Torrisi)