Non si placano le polemiche della Cgil il giorno dopo la decisione della Consulta sul referendum dell’articolo 18, bocciato dalla sentenza della Corte che ha invece accolto i quesiti su appalti e voucher. Proprio sul problema legato al mantenimento o meno dei voucher per i pagamenti dei lavoratori, è tornata durante il forum di Repubblica il segretario della Cgil, Susanna Camusso. «Valuteremo le ragioni della Corte costituzionale, quando avremo le motivazioni. E siamo molto curiosi di vederle: siamo convinti che i nostri quesiti fossero coerenti con le norme. Resta che il referendum non è l’unico modo possibile. Sui voucher riteniamo che i correttivi non bastino, vanno aboliti del tutto», avvisa il governo Gentiloni la leader dei sindacati. Sul fronte preciso dei voucher la Cgil intende raggiungere almeno l’obiettivo minimo, ovvero regolamentare il lavoro occasionale in modo che sia un rapporto di lavoro. «Su questo i voucher sono uno strumento costruito male, vanno eliminati», conclude ancora la Camusso sul referendum riguardo le tematiche del Jobs Act.
Il giorno dopo la bocciatura del referendum sull’articolo 18, sollevato dalla Cgil, il secondo sindacato più grande del Paese (la Cisl) commenta con le parole del proprio segretario il principale altro quesito, questo sì approvato dalla Consulta nell’esame di sentenza arrivato ieri pomeriggio. Annamaria Furlan, segretario Cisl, ritiene assai comprensibile la scelta della Corte Costituzionale e anzi invita a non mettere in discussione la decisione presa; «Onestamente non mi aspettavo una decisione diversa e comunque bisogna rispettare quello che la Consulta ha deciso. Ci sono tanti temi che riguardano il lavoro che credo abbiano bisogno non tanto di referendum quanto di incontri e confronti veri con le parti sociali, a partire dal tema dei voucher». Proprio sul referendum dei voucher, legati alla riforma Jobs Act che evidentemente partono da lontano, addirittura dalla Legge Biagi, il segretario Furlan non nasconde il giudizio sul governo a riguardo: «Bisogna tornare all’origine dei voucher, quando davvero la legge Biagi li aveva individuati come strumenti del tutto eccezionali per lavori del tutto discontinui. Non serve un referendum, basterebbe un legge di due righe. Quindi noi chiediamo davvero al governo, ma anche al Parlamento, di affrontare con serietà e subito questi temi. Lo chiediamo da tanti mesi, speriamo che questa volta si possa davvero iniziare un percorso proficuo per il lavoro».
Uno dei giuslavoristi più noti e impegnati con le politiche sul lavoro e sull’Articolo 18 ha voluto commentare il giorno dopo la bocciatura del referendum Cgil sull’abolizione del Jobs Act nell’ambito dell’Art.18: così Pietro Ichino, già collaboratore di Marco Biagi (giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse nel 2002), risponde alle domande di LaPresse spiegando l’esito della Corte Costituzionale. «Confidavo che questo sarebbe stato l’esito. Fin dalla presentazione di questi tre quesiti referendari promossi dalla Cgil non soltanto io, ma numerosi altri giuslavoristi e costituzionalisti avevano rilevato l’evidente inammissibilità di quello sui licenziamenti». Ma perché allora è stato bocciato proprio l’Articolo 18 e non gli altri due quesiti su voucher e appalti? Lo spiega ancora Ichino, mostrando semplicemente la sequenza dei fatti: «il quesito sull’Articolo 18 è stato abolito per il suo carattere non unitario e per il fatto che era mirato a introdurre una norma nuova, mai esistita nel nostro ordinamento: quella sull’applicabilità del vecchio articolo 18 anche alle aziende con meno di 15 dipendenti fino a un minimo di 5. Viceversa, sugli altri due quesiti si poteva esprimere -e anch’io lo ho espresso- il dissenso più netto, ma non era seriamente sostenibile la loro inammissibilità».
Pesano tre incognite sul referendum del Jobs Act che ieri è stato promosso dalla Consulta in modo “azzoppato” ovvero solo con due quesiti su tre di quelli proposti dalla Cgil: mentre i sindacati reclamano un ricorso sulla bocciatura all’Articolo 18, il vero punto politico tentato dalla Camusso per distruggere dalla base la riforma sul lavoro del Governo, pesano tre punti ancora sotto incognita per la chiamata alle urne dei cittadini italiani. Le tempistiche dicono infatti che se tutto rimane così, con governo Gentiloni e senza modifiche alla legge, si potrà votare in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. Ma come nota l’Ansa, il voto potrebbe essere rinviato di un anno se ci fossero elezioni anticipate: come previsto dalla legge 352 del 1970, infatti, in quel caso la consultazione referendaria verrebbe sospesa e rinviata a 365 giorni dopo il giorno delle elezioni, per evitare una sovrapposizione delle campagne elettorali per le politiche e per il referendum. In questo caso ci sarebbero state molte più probabilità dal momento in cui la Consulta avesse ammesso il referendum anche sull’Articolo 18, per evidenti imbarazzi del Governo che avrebbe auto notevoli problemi con una delle riforme cardine di questa legislatura. Inoltre, se prima del referendum le norme sui voucher e appalti dovessero essere modificate dal parlamento con altre norme aggiornate, e nuove disposizioni legislative dovrebbero prima essere sottoposte all’Ufficio centrale per il referendum presso la Cassazione per valutare se siano in linea col quesito referendario.
Una sentenza rumorosa quella che ieri la Consulta ha preso sui referendum presentati dalla Cgil sul Jobs Act: la riforma del Lavoro promossa dal governo Renzi era stata attaccata con tre quesiti, due soli sono rimasti e andranno alla consultazione delle urne. Mancherà però quello più importante, quella richiesta di abolizione dell’Articolo 18 che per mesi ha tenuto il Parlamento bloccato in discussioni accese e durissime. Come previsto, viene ritenuto inammissibile e quindi bocciato il secondo referendum depositato dalla Cgil, ovvero quello sull’Articolo 18. Il quesito che mirava ad abrogare le modifiche apportate dal Jobs Act sui licenziamenti non si potrà tenere in un testo referendario alle urne per tutta Italia, dunque rimane stabile quanto riformato dalla legge sul lavoro del governo Renzi, non ammettendo di ritornare alla situazione pre-Jobs Act in cui era normato l’articolo 18. Ecco cosa ha scelto nello specifico la Corte Costituzionale, come diffuso via nota ufficiale: «ammissibile la richiesta di referendum denominato “abrogazione disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti” (n. 170 Reg. Referendum); ammissibile la richiesta di referendum denominato “abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio (voucher)” ( n. 171 Reg. Referendum); inammissibile la richiesta di referendum denominato “abrogazione delle disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi ” (n. 169 Reg. Referendum)».
Referendum su voucher a e appalti sì, sull’abolizione del Jobs Act nell’ambito del superamento dell’articolo 18, no. Una decisione politica? Fin dal momento in cui la Cgil ha depositato questi tre quesiti referendari, dopo una ingente raccolta da 3,3 milioni di firme, la vicenda ha assunto i connotati politici (in aggiunta alla sconfitta del referendum costituzionale); una decisione a favore del referendum sull’abolizione all’Articolo 18 della Corte avrebbe rischiato di avere molti più connotati politici di quanto si potesse pensare. Per evitare infatti una prevedibile nuova sconfitta in un referendum, Renzi e Gentiloni avrebbero potuto provare anche ad indire elezioni anticipate per far slittare il referendum di un anno ed evitare problemi in questa già delicata fase politica. Questo non avverrà visto che la Corte ha deciso diversamente, ma questo non toglie la contraria e veemente reazione delle opposizioni che accusano il Governo di aver condizionato la decisione della Corte. “Dalla Consulta – attacca Salvini – sentenza politica, gradita ai poteri forti e al governo come quando bocciò il referendum sulla legge Fornero. Temendo una simile scelta anche sulla legge elettorale il prossimo 24 gennaio, preannunciamo un presidio a oltranza per il voto e la democrazia sotto la sede della Consulta a partire da domenica 22 gennaio”. Non solo Lega, anche il M5s attacca Gentiloni e Renzi, «Non commento il no della Consulta – dice il parlamentare M5s Danilo Toninelli – al referendum sull’art.18 ma il Governo non canti vittoria: il Jobs Act è veleno per economia e lo aboliremo”. “Questa primavera – commenta Luigi Di Maio – saremo chiamati a votare per il referendum che elimina la schiavitù dei voucher. La Corte Costituzionale ha appena dato l’ok. Sarà la spallata definitiva al Pd, a quel partito che ha massacrato i lavoratori più di qualunque altro e mentre lo faceva osava anche definirsi di sinistra!”. (Niccolò Magnani)