La chiave di lettura più chiara delle due interviste del giorno la fornisce Angelino Alfano: se necessario, Renzi e Berlusconi non potranno che finire per allearsi. Gli intervistati sui due maggiori quotidiani italiani sono Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, che aprono così ufficialmente il 2017 della politica, un anno con undici mesi, dal momento che gennaio trascorrerà in un sostanziale immobilismo in attesa della sentenza della Corte costituzionale sulla legge elettorale.



E’ sin troppo evidente che si dovrà ripartire da lì per scrivere quelle regole che servono per riportare l’Italia al voto. E le visioni di Berlusconi e Renzi finiscono per convergere, pur partendo da posizioni differenti. Entrambi sottolineano di voler correre per vincere, con il leader di Forza Italia che lascia intendere di nutrire la speranza di essere in campo in prima persona, grazie all’arrivo di una sentenza “che attende già da troppo tempo”.



Guardando però alla possibilità tutt’altro che remota che nessuno dei tre schieramenti in campo abbia una maggioranza sufficiente per governare da solo, Renzi dice che “il Pd sarà decisivo comunque”, e Berlusconi risponde che “sarà inevitabile accordarsi”.

Il grosso dei giochi si compiranno intorno alla legge elettorale, perché l’esito della partita sarà deciso in buona parte dalle regole con la quale verrà giocata. E l’ipotesi di larghe intese non può che scatenare la furia di chi da quello scenario ha solo da perdere, cioè 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia. E se per i grillini è sin troppo facile capire la ragione delle bordate, le reazioni durissime di Matteo Salvini (“al voto subito”) e Giorgia Meloni (“basta inseguire Renzi”) fanno capire che oggi il centrodestra è sostanzialmente inesistente, mentre l’uomo di Arcore si muove nella logica di sbarrare a Grillo e ai suoi la strada di Palazzo Chigi. Anche su questo la consonanza con Renzi è totale: cannonate alzo zero, con il nemico del mio nemico che diventa mio amico, come ricorda un vecchio proverbio.



Certo, Renzi deve rilanciarsi per risollevarsi dalla batosta referendaria. Uno schiaffone talmente forte che gli ci sono volute cinque settimane per tornare a parlare. Ora però la sconfitta sembra metabolizzata, e gli avversari interni dovrebbe cominciare a preoccuparsi: “ci sarà da divertirsi nei prossimi mesi dalle parti del Nazareno”, ha scandito il segretario dem. Intenzione dichiarata: lanciare una nuova classe dirigente, infarcendo di sindaci la segreteria, e rivendicare con più forza quanto di buono è stato fatto nei mille giorni del suo governo. Metodo: cambiare la scaletta delle priorità, prendendo atto che la nuova priorità è fra esclusi e inclusi nel sistema, così come fra innovazione e conservazione. Sinistra per Renzi significa innovazione, garantismo, taglio delle tasse, e non andare a rimorchio del sindacato “che contesta i voucher e poi li usa”. Bisognerà vedere se si tratta di una concezione di sinistra condivisa dal resto dei dirigenti democratici.

Aria di grandi manovre quindi, e una sfida aperta ai suoi oppositori dentro il Pd. “Una scissione — scandisce durissimo Renzi — la farebbero i parlamentari, e non gli iscritti, il 91 per cento degli elettori Pd ha votato sì al referendum”. Più che di scissione, quindi, l’aria che tira al Nazareno è di resa dei conti, o meglio di un’accelerazione tale per cui agli oppositori si porrà l’alternativa secca fra chinare la testa e andarsene di propria spontanea volontà alla spicciolata.

C’è comunque un punto che appare chiaro, accanto alla possibilità di un governo di larghe intese dopo il voto. E’ che la prospettiva di un voto ad aprile si affievolisce sempre di più. Resta in piedi l’ipotesi di elezioni a giugno, ma sempre più debole. Se per Berlusconi “purtroppo” i tempi per riscrivere le regole elettorali non sono brevissimi, Renzi si dice — almeno ufficialmente — “indifferente” rispetto al tempo della fine della legislatura, perché l’importante è decidere “quel che serve all’Italia”. 

La verità è decisamente più complessa e non si può dimenticare che il primo attende il verdetto di Strasburgo per poter tornare in pista, il secondo ha bisogno di tempo per cambiare la faccia al Pd definitivamente e rilanciare la propria leadership. La fretta di cui sembrava pervaso sino a qualche giorno fa (“il tempo lavora contro Renzi”, dicevano i suoi collaboratori), pare aver lasciato il posto a una prospettiva più meditata e meno frettolosa. E anche i 5 Stelle, a forza di scivoloni fra Roma e Strasburgo, potrebbero finalmente pagare un prezzo in termini di consenso.

Nel frattempo, c’è Gentiloni che può governare, completando le riforme di Renzi (come con i decreti attuativi delle unioni civili), e ci sono provvedimenti da votare insieme, come il salva banche. Prove tecniche, insomma, di quelle larghe intese che sembrano iscritte nel futuro di Renzi e Berlusconi.