La Corte costituzionale ha reso noto l’esito del giudizio sull’Italicum con un comunicato stampa. Dopo oltre sei ore di camera di consiglio, viene dichiarato legittimo il premio di maggioranza, viene bocciato il ballottaggio, sopravvivono i capilista bloccati e le candidature multiple. In questo caso però l’eletto in più collegi non potrà scegliere quale collegio rappresentare, perché questo gli verrà assegnato per sorteggio. Con il costituzionalista Stelio Mangiameli abbiamo cercato di capire com’è l’Italicum dimezzato, quali problemi si pongono in relazione alla legge elettorale esistente per il Senato e se il verdetto della Consulta avvicina o no il voto.
Professore, cominciamo dal risultato odierno. Una nota nella quale si dice cos’hanno deciso i giudici. Non è però nota la motivazione della sentenza. Questo cosa significa?
Che non è dato sapere con esattezza quale sia stato il processo logico-giuridico che la Corte ha seguito. A ogni buon conto, sappiamo che il ballottaggio sarebbe stato dichiarato illegittimo e che illegittima è la possibilità prevista dalla legge per il capolista bloccato eletto in più collegi di scegliersi il collegio d’elezione: in questo caso si dovrà procedere al sorteggio.
A che cosa siamo di fronte?
Con molta probabilità, a un compromesso tra le diverse anime della Corte che ha consentito di epurare la legge elettorale delle più visibili contraddizioni. Tuttavia, su alcune lo stesso giudice costituzionale ha lasciato intendere che il suo giudizio non si poteva estendere oltre quanto eccepito dai tribunali, come per i “cento capolista nominati” che ogni forza politica potrà schierare, i quali sono salvi in forza del criterio del sorteggio che — come ha osservato la Consulta – non è stato censurato nelle ordinanze di rimessione.
La Corte ha detto sì al premio di maggioranza. Questo cosa significa?
Che nel nostro ordinamento sono costituzionalmente possibili leggi elettorali con effetti maggioritari, comprese quelle che distribuiscono un premio di maggioranza.
E per quanto riguarda il no al ballottaggio?
Per quanto riguarda il ballottaggio, invece, la censura sembra con molta probabilità legata alla mancata indicazione di una soglia per accedere al secondo turno, per cui, in caso di frammentazione politica, anche forze politiche con un modesto consenso avrebbero potuto accedere al ballottaggio. Non dimentichiamoci che nella tornata del 2013 la migliore lista (il M5s) ottenne il 25,5 per cento e la seconda (il Pd) il 25,4 per cento. Non convince, invece, la tesi di chi ritiene che il ballottaggio per la Camera sia stato censurato con la motivazione che sono rimaste due Camere titolari del rapporto fiduciario nei confronti del governo.
Perché non convince?
Se così fosse stato, sarebbe stato necessario censurare anche il premio in sé; e questo non è stato. Il premio rimane per chi al primo turno ottiene il 40 per cento dei voti validi ed è pari a 340 seggi, ossia al 55 per cento dei seggi.
Ma perché la Corte ha detto sì al premio di maggioranza ma ha detto no al ballottaggio?
La Corte in questo potrebbe avere riproposto quanto già detto nella sentenza n. 1/2014, e cioè che la governabilità è un valore importante, ma non può consentire una differenza esorbitante tra consenso effettivo e legittimazione a governare. Altrimenti detto, si può dare un premio di maggioranza, ma i seggi dati in premio non possono non tenere conto del livello di consenso effettivo conseguito, anche ai fini di un secondo turno di votazione, e sono ragionevoli e proporzionati solo se ci si basi su un’adeguata legittimazione popolare. Con il premio, infatti, governa una forza politica di minoranza; ma questa non può essere dotata di un consenso modesto nel corpo elettorale.
La Consulta ha comunicato che “la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione”. Vuol dire che le due leggi di Camera e Senato non hanno più bisogno di alcuna armonizzazione? O cos’altro?
Direi che è tutto l’opposto. La Corte, come già aveva fatto con il Porcellum, aveva il dovere di emendare la legge dalle incostituzionalità denunciate, e non è detto che siano state fatte fuori tutte. Inoltre, aveva il dovere di dotare l’ordinamento di leggi elettorali funzionanti che consentano un eventuale svolgimento delle elezioni, ma questo risultato non implica che le due leggi risultanti dal Porcellum e dall’Italicum siano naturalmente in grado di assicurare la coesione necessaria tra le due Camere. Questo la Corte non avrebbe potuto assicurarlo, perché è un legislatore negativo che si pronuncia su richieste che altri hanno formulato.
Ma allora le due leggi elettorali in vigore consentono il voto o no?
Sì, consentono le elezioni perché, come ha sempre detto la Corte, sono suscettibili di immediata applicazione; ma esistono dei divari, anche dopo i pronunciamenti della Corte, che le rendono poco funzionali. Basti pensare alle diverse soglie di sbarramento e alla possibilità del premio, sia pure con il 40 per cento dei voti, per la sola Camera dei deputati.
Restano le candidature multiple: il capolista però non potrà più scegliere il collegio in cui è eletto, che gli verrà dato in sorteggio. Questo cosa implica?
Con molta probabilità non sarà più così conveniente fare il capolista in più collegi, perché il sorteggio potrebbe comportare la rappresentanza d’immagine di una certa parte del territorio, piuttosto che la rappresentanza del proprio collegio d’elezione. Inoltre, con il sorteggio potrebbe essere favorito qualcuno che, pur nell’ambito della stessa lista, non è detto che sia un “amico”.
Capilista bloccati: c’erano e ci sono ancora. Come commenta?
Questo è probabile che sia stato il punto più difficile nella decisione della Corte. La conseguenza potrebbe essere, se non è introdotto un correttivo dal legislatore, che per circa due terzi la Camera dei deputati sarebbe composta di nominati, mentre in Senato, per effetto dell’altra pronuncia della Corte, tutti i senatori sarebbero eletti grazie al voto di preferenza. La differenza non è poca.
Adesso cosa deve fare il Parlamento?
Dovrebbe serenamente porsi il problema di come costruire due meccanismi elettorali, uno per la Camera e uno per il Senato, in grado di assicurare una certa omogeneità di risultato, anche se le due basi elettorali sono diverse, e differenti sono anche i vincoli costituzionali per le elezioni delle due camere.
Qual è la posta in gioco?
Ci sono in ballo non solo le questioni di una corretta rappresentanza del corpo elettorale, ma anche quelle della governabilità, che potrebbero essere risolte con il premio o con altri mezzi e, tranne che la scelta non sia un proporzionale puro, ma non è auspicabile per ragioni di carattere generale, resta aperto tutto il tema delle coalizioni che la pronuncia della Corte non ha avuto modo — a quel che sembra — di considerare.
Secondo lei si andrà al voto anticipato?
A me pare che la pronuncia della Corte sposti sicuramente in avanti le elezioni. Con molta probabilità si arriverà a scadenza naturale nel 2018.
Alcuni leader scalpitano e chiedono le urne.
Adesso devono metabolizzare la decisione della Consulta e una volta compreso che non si può andare al voto subito, che vuol dire a giugno, dovranno studiare l’assetto migliore per loro. Ma il futuro non riguarda solo la volontà dei leader politici, riguarda anche il contesto.
Cosa intende?
Nel frattempo il governo dovrà fare la manovra correttiva dello 0,2 per cento richiesta dall’Unione europea e subito dopo c’è anche il Def per impostare la legge di bilancio del 2018. Nonostante il terremoto e la neve, per l’Italia non sarà possibile rivendicare altra flessibilità, per cui il bilancio 2018 sarà un po’ stretto e questo non è un bene per chi governa; anche se lo potrebbe diventare, qualora — per una volta — la manovra correttiva e le previsioni di economia e finanza fossero un po’ più eque. Il che può accadere, anche se non è probabile.
Intanto la decisione della Consulta aiuta alcuni a scapito di altri?
Guardi, non è esatto pensare che lo spostamento delle elezioni agevoli le opposizioni e, in particolare, determinate forze, come la Lega e il M5s. Queste sono più forti adesso, ma nel medio termine non è detto che mantengano questo consenso solo perché tengono alto il tono della protesta; anzi, a lungo andare potrebbero perdere terreno. Non va dimenticato, poi, che nei sondaggi mancano almeno tre milioni e mezzo di cittadini che non si esprimono, ma che, quasi sicuramente, andranno a votare e questi potrebbero fare la differenza. Tutti gli esiti, perciò, sono possibili e nessuno è scontato.
(Federico Ferraù)