Si discute con grande passione, da più di un anno, di riforme costituzionali e di nuova legge elettorale in questo Paese. Magari non ci si accorge che l’Italia, nel frattempo, è diventata una sorta di supermarket dove le incursioni straniere, nella cosiddetta era della globalizzazione, sono all’ordine del giorno e rendono bene.



Secondo molti esperti, l’Italia avrebbe avuto bisogno di una riforma costituzionale di notevole portata dopo la caduta del Muro di Berlino e almeno a partire dall’implosione definitiva del comunismo. Doveva essere una riforma di notevole ampiezza, perché i nostri “padri costituenti”, con tutta la loro buona volontà, dovettero modellare la cosiddetta Grundnorm secondo le esigenze della guerra fredda e anche di qualche desiderata dei vincitori.

Stranamente (ma sarà un caso?) non solo non si fece la riforma costituzionale, ma la politica si fece surrogare ampiamente nelle sue funzioni dalla magistratura e contemporaneamente decise il futuro della sua struttura economica secondo le esigenze del vincente liberismo, che si affermava in Europa anche con la sinistra di Tony Blair e in America di Bill Clinton, che quasi gareggiarono in chi era più liberista con Margaret Thatcher e Ronald Reagan.

Se si ritorna al clima di quell’epoca, c’era uno strano parallelismo tra l’azione della magistratura di surrogare la politica e l’azione delle grandi banche d’affari, attraverso alcuni improvvisati economisti italiani pronti a privatizzare tutto quello che era possibile e impossibile. E’ da quegli anni che l’Italia è diventata un supermaket, con dei guardiani-magistrati abbastanza indifferenti o distratti alle vicende economiche del Paese.

In questi giorni balza sulla scena una vicenda dai contorni ambigui. Di mezzo c’è uno degli ultimi “grandi gioielli” della finanza italiana: niente meno che le Assicurazioni Generali, una “perla” che secondo Cesare Geronzi si poteva e si può descrivere in questo modo: “Chi controlla Generali controlla la finanza italiana”. E Geronzi citava, al proposito, Enrico Cuccia, che metteva Generali sempre in mani esperte, perché erano una “creatura rara”. E le mani di chi stava in Generali dovevano essere non solo esperte ma anche devote.

Ora, in questo momento, su Generali ci sono versioni ambigue. Secondo alcuni sul Leone di Trieste ci sarebbe lo spettro di un’azione dei francesi, della compagnia transalpina Axa, come conquistatore della cassaforte del risparmio italiano. 

Generali ha perso il valore di un tempo. Nel 2007 un’azione di Generali valeva 32 euro. Nel 2015 valeva 17 euro a piazza Affari, oggi si è sistemata intorno ai 15 euro. Vuol dire che ha perso dai massimi del 2007 oltre il 50 per cento. Ma certamente la compagnia triestina ha un rilievo che è sempre predominante nella finanza italiana e quindi un assalto dei francesi, dopo Telecom e dopo Mediaset, sarebbe quasi una provocazione. Anche se l’elenco delle (s)vendite ai francesi dei “marchi” e dei “gioielli” italiani è talmente lungo che è ormai quasi impossibile ricordarlo.

Di fronte a queste voci e a questi rumors, sui quali si spera che si vigili e si indaghi, si intravede una “guerra”, una “nuova guerra” tra Banca Intesa e Mediobanca. Da un lato si sussurra che “Mediobanca sia il portage di interessi francesi e qualcuno non vuole che questo accada”. Di fatto, sembra che si ripeta la “guerra” che si scatenò tra Mediobanca e Intesa per il controllo di Rcs, con Intesa che riuscì a sconfiggere gli eredi di Cuccia e Maranghi. In questo modo Intesa ribadì allora e ribadisce oggi di voler sostituire Mediobanca nel ruolo che aveva un tempo, cioè essere il playmaker della finanza italiana. 

Intanto, dall’altro lato, oltre all’interesse dei francesi, si rincorrono voci discordanti e di fatto si accusano altri di favorire il passaggio di Generali alla tedesca Allianz. Insomma uno scontro interno che alla fine può favorire tutti, tranne che le realtà finanziarie italiane.

E qui occorre fare attenzione. Dopo quello che sta passando Unicredit, con una ricapitalizzazione durissima da affrontare (13 miliardi), a fronte di tantissimi crediti deteriorati, Generali resta l’unica realtà finanziaria che ha un respiro internazionale. E’ presente in 60 paesi con 470 società e circa 80mila dipendenti. C’è qualche cosa di più. La compagnia triestina raccoglie 74 miliardi di premi, intorno a cui ruotano titoli del debito pubblico italiano. Insomma su questa questione c’è in ballo la gestione della sovranità italiana sul suo debito.

Eppure su una vicenda di tale portata c’è in ballo la possibilità di una “guerra” senza quartiere e pure una sorta di risiko con uno scambio di azioni che interesserebbe anche Unicredit che è già guidata dal francese Jean Pierre Mustier e che ai francesi ha dovuto vendere già alcune attività per 7 miliardi.

Ora ci si chiede se in una situazione come questa sia il caso di ingaggiare un risiko di carattere “ideologico” sul ruolo di perno della finanza italiana e proprio per questo non si finisca per invogliare incursioni di altro tipo. 

Sicuri che Generali possa essere un bersaglio facile? Magari qualcuno, alla fine, pensa di dirottare su qualcosa d’altro. Difficile fare un’opa su Generali, ma un ingresso in Unicredit, approfittando del peso dell’operazione in corso, è possibile soprattutto da parte di una banca francese.