Sul sistema elettorale ognuno ha le sue preferenze. Il legislatore, ha sostenuto la Corte costituzionale, ha discrezionalità di scelta. La Costituzione non impone un determinato modello di legge elettorale. Ma, dopo le due sentenze sui vigenti sistemi elettorali, vi sono alcuni punti fermi. Nel pendolo tra rappresentanza e governabilità, il legislatore non può compiere scelte che producano la palese ed irragionevole distorsione del voto popolare. I confini esatti di questo limite sono di per sé imprecisati. Dunque, è sempre presente il rischio di incorrere in una nuova sentenza di incostituzionalità.
La riforma elettorale appena approvata dalla Camera segue in larga parte i principi stabiliti dalla Corte. Nello stesso tempo, in coerenza con i richiami del Capo dello Stato, persegue l’obiettivo politico dell’armonizzazione tra i meccanismi elettorali delle due Assemblee. Costituisce probabilmente l’ultimo compromesso possibile allo stato dei fatti all’interno della maggioranza, e consente di allargare il consenso ad alcune — non tutte — delle forze di opposizione.
Dal punto di vista costituzionale, però, c’è soprattutto da correggere un aspetto, apparentemente tecnico, ma assai rilevante nelle conseguenze. In sintesi, la riforma elettorale prevede un voto unico, ma con due diverse modalità tra cui l’elettore può scegliere. L’elettore può votare per il candidato che gareggia per il seggio assegnato con il sistema maggioritario nel collegio uninominale (vince chi prende più voti degli altri). Oppure si può votare per una lista (corta e bloccata, cioè senza possibilità di esprimere preferenze) che — eventualmente in coalizione con altre — concorre per i seggi da assegnare con il sistema proporzionale nel collegio plurinominale.
Il voto espresso per la lista unica o per una di quelle coalizzate, vale automaticamente anche per il candidato “uninominale” che è collegato a quella lista o coalizione di liste. Nel caso inverso, lo stesso principio può facilmente applicarsi quando il candidato “uninominale” è collegato ad una lista unica. Ma come affrontare il caso dei voti espressi per i candidati “uninominali” che sono collegati ad una coalizione di liste? Evidentemente, dovendosi rispettare lo stesso criterio, vanno complessivamente assegnati alla coalizione che è collegata a quel candidato. Ma come ripartirli tra queste liste?
Secondo il testo appena approvato dalla Camera, tali voti sono “trasferiti d’autorità” alle singole liste della coalizione in proporzione ai voti espressi dagli altri elettori che, tra le due opzioni di voto, hanno scelto di votare espressamente la lista preferita all’interno della coalizione. Ipotizziamo, ad esempio, che, all’interno di un dato collegio plurinominale, dieci elettori votino solo per i candidati uninominali che sono collegati ad una data coalizione di liste, mentre altri dieci scelgano invece di esprimersi votando per una delle liste di questa coalizione, ottenendo la lista A 5 voti, la lista B 4 voti, e la lista C un voto. Secondo la riforma elettorale, le singole liste acquistano anche gli altri dieci voti, nella stessa proporzione espressa dai voti direttamente ricevuti. Quindi, complessivamente, la lista A avrà automaticamente riconosciuti 10 voti, la lista B 8 voti, la lista C due voti. Ma senza che in realtà questi voti siano stati mai espressi.
Cosa ne consegue? Che nella ripartizione dei seggi con il proporzionale il “peso” di queste liste sarà determinato soltanto dal voto espresso dagli elettori che hanno scelto di votare per le singole liste. La legge presume in via assoluta che anche gli altri elettori, se avessero scelto tra le varie liste all’interno della coalizione, si sarebbero espressi come gli elettori che hanno dato il voto alle liste, e non ai candidati all’uninominale. In caso di coalizione di liste, chi sceglierà di votare per l’uninominale, avrà un voto dimidiato; mentre chi voterà per le singole liste avrà un voto raddoppiato.
Più in generale, ciò significa che nell’assegnazione dei seggi con il proporzionale — ovvero quasi i due terzi di ciascuna Assemblea — si attribuisce al voto di alcuni elettori (quelli che sceglieranno di votare una delle liste presenti nelle coalizioni che si presenteranno) il compito di sostituirsi alla volontà non espressa dagli altri elettori (quelli che sceglieranno di votare solo i candidati all’uninominale). Per di più, la quota di seggi concretamente assegnati mediante questi voti dall’effetto “duplicato”, è imprevedibile, dato che dipenderà non solo dalla numerosità delle coalizioni di liste che supereranno la soglia prevista (il 10%), ma anche dal comportamento concreto dei votanti per tali coalizioni (cioè, dal sistema di voto che sarà prescelto dai votanti per ciascuna coalizione e in ciascun collegio plurinominale).
Il nesso di collegamento tra il voto degli elettori e gli eletti, in breve, risulta parzialmente compromesso, così come è lesa la parità di trattamento di ciascun voto (già “in entrata”, come visto), principi entrambi chiaramente affermati dalla Corte costituzionale nelle sue recenti sentenze. Il ricorso al doppio voto o alla doppia scheda, come nel Mattarellum impiegato alla Camera dei deputati dal 1994, avrebbe risolto ogni problema.
Tuttavia, è ingenuo chiedere adesso una simile modifica alle forze politiche che hanno raggiunto, molto faticosamente, un patto su questa riforma. Non si può escludere, però, che, al momento della promulgazione della legge, il problema venga considerato. Occorrerà valutare se il rischio politico-istituzionale, a nostro avviso elevato, di un’eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale non debba essere evitato con un rinvio alla Camere. Queste ultime, anche in pochissimo tempo, avrebbero senz’altro la possibilità di aggiustare il tiro, seguendo le indicazioni e sotto la copertura del messaggio presidenziale. Ogni cautela appare auspicabile per allontanare anche soltanto l’eventualità di una terza bocciatura delle leggi elettorali da parte della Consulta.