Qual è il format concreto del “mese obbligatorio di servizio civile” che Matteo Renzi ha lanciato ieri celebrando il difficile decennale del Pd? In attesa che il leader dem consolidi il suo programma di candidato premier, proviamo a mescolare liberamente qualche riflessione spicciola con qualche suggestione indicata dalla storia o dalla geografia.



La Russia sovietica — quasi ancora reduce dall’abolizione della servitù della gleba zarista — istituì subito il subbotnik: il “sabato di lavoro gratuito per la patria”, sul quale s’innestarono direttamente la mitologia stakanovista e poi l’industrializzazione pesante condotta da Stalin. Mentre la Nuova politica economica rimodellava l’Urss, negli Usa il New Deal combatteva la Grande depressione fidandosi delle nuove teorie di John Maynard Keynes, il cui humour britannico sintetizzava: “Lo Stato può spingersi a pagare disoccupati che un giorno scavino buche e l’altro giorno le ricoprano”. Un qualche effetto-stimolo su domanda e ripresa ci sarebbe comunque. 



Il servizio civile italiano sarebbe un modo per dare un “reddito d’inclusione di fatto” a milioni di giovani disoccupati? E sarebbe lo Stato a funzionare come una sorta di mega-agenzia pubblica di lavoro interinale? A questo punto: il sevizio civile surrogherebbe le “politiche attive del lavoro”, quelle che mancano ancora alla realizzazione del Jobs Act?

Il “giovane uomo o donna” (fino a 35 anni?) chiamato al nuovo servizio civile italiano sarebbe indifferentemente un chirurgo in carriera oppure un disoccupato. Al primo si potrebbe chiedere, ad esempio, di lavorare gratis per un mese nella struttura (in ipotesi pubblica: Asl o università) nella quale già opera, con un risparmio nella spesa sanitaria (un giovane avvocato potrebbe fare il giudice di pace e sveltire l’arretrato civile e così via: perché non un fisico italiano del Cern un mese in una scuola media?). Oppure a quel giovane medico si potrebbe chiedere di operare in una struttura indicatagli dal “Gestore del Servizio Civile” — ad esempio: un nuova struttura dedicata all’accoglienza dei migranti — a un compenso stabilito, uguale per tutti: anche per il giovane disoccupato, che nella stessa struttura potrebbe svolgere altre mansioni. 



Per quest’ultimo, d’altronde, potrebbe non essere la cosa migliore essere impiegato (e compensato) in qualcosa di simile a un “lavoro socialmente utile”: potrebbe essere più utile usufruire di un vero pacchetto formativo. C’è chi ancora può ricordare che nei primi anni del secondo dopoguerra, il servizio militare obbligatorio fu un importantissimo canale di alfabetizzazione maschile in un’Italia ex rurale proiettata verso l’industrializzazione: non era una leggenda metropolitana di allora che chi non avesse imparato a leggere e scrivere dopo i 15 mesi di “naja”, sarebbe stato congedato con ritardo. Il servizio civile obbligatorio è un modo per lanciare un piano di ri-alfabetizzazione digitale nazionale? Un complemento forse indispensabile al piano nazionale Banda Larga o perfino alla strategia Industria 4.0.

Restiamo un attimo in campo militare. Nel suo manifesto per la nuova Ue, il presidente francese Macron ha posto al centro anche la costruzione di un vero dispositivo di sicurezza e difesa europea, interne ed esterna (la Russia preme a est, l’islam da sud e all’interno del Continente mentre gli Usa si stanno ritirando a ovest). Il “servizio civile” italiano — in forme da studiare — può inserirsi in quella strategia? Al centro dell’Europa ma fuori dalla Ue c’è un paese in cui — da secoli — la difesa dell’indipendenza e della neutralità è affidata a a un’organizzazione che wikipedia definisce correttamente “milizia”. In Svizzera fino al 2004 il servizio militare impegnava tutta la popolazione fino a 42 anni (oggi fino a 30) con l’obbligo di frequentare “mesi” periodici di ferma e aggiornamento. E nella tradizione civile svizzera non si è mai trattato solo di gestione amministrativa della difesa: ancora poco tempo fa il grado raggiunto nella Schweizer Armée pesava nelle selezione della classe dirigente destinata a guidare i campioni nazionali come Ubs, Ciba, Nestlé.     

Oggi in ogni caso le forze armate italiane sono impegnate in modo importante su fronti civili: il primo è la gestione dell’emergenza migranti, un secondo è periodicamente la gestione della protezione civile (e in prospettiva della ricostruzione) dopo catastrofi naturali. Il nuovo servizio civile può servire a mandare ingegneri, architetti, periti a fare scuola-lavoro in Centro Italia? Oppure, ancora, ad attivare hotspot finalmente ben strutturati nell’Italia meridionale dalla Ue per la gestione dei flussi migratori?

E se invece il servizio civile obbligatorio diventasse pietra angolare di una nuova “politica per la famiglia”? Per 30 giorni all’anno i genitori devono (“devono”, non “possono”) fare i genitori. Pagati — quel mese — dal loro datore di lavoro (magari anche per sperimentare formule nascenti di smart working) oppure sul bilancio pubblico.

Il “servizio civile obbligatorio” va svolto necessariamente in Italia? All’ultimo Meeting di Rimini, l’ex premier Enrico Letta e il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, hanno rilanciato assieme “Erasmus obbligatorio”: ogni giovane italiano (europeo) dovrebbe avere l’opportunità “obbligatoria” di trascorrere un periodo — tendenzialmente di studio — in un altro paese membro dell’Unione.

Quella lanciata da Renzi ieri può essere una buona idea: se non resta uno slogan elettorale. E se lui che l’ha lanciata intuisce per primo l’opportunità di un salto di qualità nel suo stile politico: un “servizio civile obbligatorio” non potrà mai funzionare se resta la solita narrazione di un uomo solo al comando.