Silvio Berlusconi ha pensato bene di mettere l’elmetto sbarcando a Ischia per la convention degli azzurri. L’ha indossato per mostrare che il dramma dell’isola terremotata non è archiviato, che c’è da ricostruire come nelle Marche, in Abruzzo, nell’Umbria e nel Lazio. Il caschetto di sicurezza scongela l’immagine dell’uomo del fare, del premier che portò il G8 all’Aquila e che tagliò innumerevoli nastri di opere pubbliche. E gli toglie anche di dosso quel sorriso mummificato immortalato alle nozze della sua cognata di fatto, cioè della sorella di Francesca Pascale.
Dopo un’estate passata a ristrutturare il partito e restaurare il fisico a Merano, per Berlusconi — come per tutti i leader politici, del resto — si avvicina il momento della verità. Domenica farà i primi conti con la Lega al referendum sull’autonomia lombardo-veneta. Inizialmente tiepido, ora il Cavaliere si è un po’ scaldato. Ha detto che voterà Sì. Porterà acqua al mulino di Zaia e Maroni. Ma l’ultima settimana di campagna elettorale referendaria non vedrà gesti particolarmente eclatanti. Berlusconi preferisce stare alla finestra perché domenica è la Lega a dovere misurare le proprie forze.
L’attenzione non è tanto al risultato (la vittoria dei Sì sarà schiacciante) quanto alla percentuale di votanti. In Lombardia non è previsto un quorum, in Veneto sì. Ed è il Veneto la regione che ha fortissimamente voluto questo voto. Se il 51 per cento dei votanti non sarà superato, per la Lega nel complesso (non solo per quella lagunare) sarà uno smacco. E il Cavaliere avrà gioco facile a pilotare le trattative quando si siederà al tavolo con Matteo Salvini e Giorgia Meloni per stabilire le candidature condivise nei nuovi collegi uninominali previsti dalla legge elettorale.
Tra un mese sarà la volta delle elezioni regionali in Sicilia, dove il candidato del centrodestra Nello Musumeci è in vantaggio sugli avversari. Lì Berlusconi si misurerà non con gli alleati interni ma con il candidato della coppia Renzi-Alfano e l’esito determinerà il clima della campagna elettorale. Le nebbie dei mesi scorsi si stanno diradando, il sistema elettorale è ormai definito: dall’Italicum che premiava i partiti si è passati al Rosatellum che favorisce le coalizioni, almeno per i 334 seggi uninominali tra Camera e Senato. Le scelte di campo vanno fatte ora e come Renzi guarda a sinistra e ad Alfano, Berlusconi consolida l’asse del centrodestra e spalanca le porte ai centristi che volessero abbandonare Area popolare.
Questa è dunque la fase in cui vanno messi in secondo piano gli interessi dei singoli partiti per rafforzare l’immagine della coalizione. Per questo il Cav dice che vuole avere la maggioranza “altrimenti mi ritiro”. E aggiunge di escludere le larghe intese “per storia e ideologia”. Il resto (flat tax, chiusura di Equitalia) è folclore, almeno per il momento. Quello che succederà dopo le elezioni politiche è un altro discorso. Se la coalizione reggerà e avrà una maggioranza, bene. Altrimenti si vedrà.
Con il maggioritario si elegge poco più di un terzo del Parlamento, il resto segue la regola proporzionale. E anche se non si potranno esprimere preferenze perché i listini sono bloccati, tuttavia i partiti correranno con le proprie forze, senza la rete protettiva della coalizione. A urne chiuse misureranno quanto valgono. Lì si aprirà una nuova partita. Perché non è affatto detto che le coalizioni (come si è già visto in questa legislatura con le scissioni, per esempio, di Alfano e Bersani) siano un totem immutabile.