Ci sono stati periodi anche recenti in cui Marco Travaglio ed Eugenio Scalfari, due dei giornalisti più noti del panorama italiano, si stimavano e si “copiavano” le invettive contro il “male assoluto” che rispondeva al nome di Silvio Berlusconi. Ecco, qualcosa è cambiato: non c’è più (almeno al potere) l’ex Cavaliere, l’ex direttore e fondatore di Repubblica è diventato il confidente “principale” di Papa Francesco e il direttore del Fatto Quotidiano è passato da Berlusconi a Renzi come primario obiettivi delle sue invettive (queste non passano mai, ndr). Ecco l’ultima in cui il “discepolo” rinnega il “maestro” e si scaglia contro l’ultima “omelia” domenicale di Scalfari proprio su Repubblica: secondo Travaglio l’accusa definitiva viene mossa nel 2017 ma è lunga tutta una vita e potremmo riassumerla in “trasformismo”. Il direttore del Fatto non usa quel termine ma da quanto scrive ci sentiamo in “dovere” di riassumere il concetto. «Fascista sotto il fascismo, non pervenuto durante la Resistenza, antifascista dopo la caduta del Duce, da allora Scalfari passa per un sincero democratico: sia da liberale, sia da pannunziano, sia da radicale, sia da deputato socialista, sia da filocomunista, sia da craxiano, sia da demitiano, sia da occhettiano, sia da dalemiano, sia da prodiano, sia da veltroniano, sia da ciampista, sia da napolitaniano, sia da mangiapreti, sia da papista, sia da lettiano antirenziano, sia da filorenziano. Il travestimento dura 72 interminabili anni». Ecco, mica “la tocca piano” il buon Travaglio, prima di arrivare al punto centrale che riguarda ancora una volta il “problema” della democrazia.



LA “NUOVA” DEMOCRAZIA?

«Poi l’ altroieri l’ anziano reazionario non ce la fa più ed esplode finalmente nell’ urlo più liberatorio e fantozziano: la democrazia è una cag… pazzesca!», e l’invettiva di fantozziana memoria è bella che servita. La goccia che fa traboccare il vaso del travaglismo è ovviamente l’ultima legge elettorale del Rosatellum Bis visto dal Fatto come fumo negli occhi e in qualche modo invece difeso da Scalfari, che vi oppone tutto il suo trasporto cogitativo. «Zagrebelsky è un mio amico, gli voglio un gran bene e ho grande stima per le sue capacità giuridiche ma sono da tempo in totale disaccordo sulla sua posizione politica. Lui ha molta considerazione per il popolo sovrano. È il popolo che deve decidere e decide e questa è la democrazia. La mia tesi è molto diversa La sovranità è affidata a pochi che operano e decidono nell’interesse dei molti», scrive Scalfari su Repubblica, e aggiunge per confermare la sua tesi, «i pochi governano per il bene dei molti. Se si vota in una piccola città per il sindaco gran parte degli elettori lo conosce e gli può piacere e non piacere e votarlo o non votarlo ma se si tratta di un intero Paese il popolo non conosce i candidati, vota per il partito al quale si sente più vicino. Questa è la libertà del popolo sovrano: non la scelta della persona ma la scelta del partito dal quale ci si aspetta il bene e non il male». Travaglio dire che l’ha presa male è un eufemismo e attacca ancora con tutta la sua verve ironico-cinica, et voilà: «era dai tempi del conte de Maistre e del principe di Canosa che non si leggeva un pensiero politico di così ampie vedute. Manca solo un appello a farla finita col suffragio universale e a ripristinare quello per censo o per lombi, onde evitare che il voto di uno zotico grillino valga quanto quello del principe Eugenio e degli altri ottimati…».



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