REFERENDUM AUTONOMIA LOMBARDIA E VENETO. “I miliardi promessi da Maroni e Zaia? Non ci saranno, la Costituzione non prevede passaggi di risorse”. Si avvicina il referendum per l’autonomia del 22 ottobre, voluto da Maroni e Zaia per negoziare da una posizione di forza le competenze e la quota di residuo fiscale da trattenere in Lombardia e Veneto. Ma Roberto Formigoni, presidente della Lombardia dal 1995 al 2013, non ci sta. Al telefono gli abbiamo citato un passaggio della sentenza 118/2015 con la quale la Corte Costituzionale due anni fa ha cassato il pacchetto iniziale di referendum sull’autonomia e l’indipendenza del Veneto, risparmiandone uno solo (quello che si terrà il 22 ottobre) perché in questo caso il quesito “non prelude a sviluppi dell’autonomia eccedenti i limiti costituzionalmente previsti”.



Ma se è così, senatore Formigoni, di che cosa stiamo parlando?

Stiamo parlando esclusivamente delle possibilità contemplate nell’articolo 116 terzo comma della Costituzione: le Regioni a statuto ordinario possono avviare una trattativa con il governo al fine di vedersi attribuite le competenze su alcune delle materie cosiddette concorrenti. Si parla di competenze, non di risorse per miliardi di euro che Lombardia e Veneto si ritroverebbero in tasca.



Ciò che Maroni e Zaia vorrebbero attivare è una trattativa con il governo al fine di ottenere queste competenze. 

Appunto. Ma questa facoltà è già attribuita alle Regioni: ce l’hanno già! Non serve nessun referendum. Il referendum è qualcosa in più, che alla Lombardia costa la “modica” cifra di 50 milioni. Per di più un negoziato serio lo si attiva all’inizio di un legislatura, non alla fine, quando nessuno sa come sarà il prossimo governo.

Lei oltre all’opportunità politica dell’iniziativa leghista che cosa contesta?

La procedura non è completa e Maroni e Zaia sono reticenti. Perché nel momento in cui si chiede il parere dei cittadini non si indicano le materie sulle quali si vogliono avere le competenze? Perché spendere soldi per farsi dare dai cittadini un potere che la Regione già possiede e può esercitare quando vuole? Perché si promettono miliardi ai cittadini quando invece la Lombardia non avrà nemmeno un euro?



Qualcuno ha addirittura fatto intendere che la regione Lombardia avrà uno statuto speciale. 

Certo, con un piccolo dettaglio: bisogna prima fare una riforma costituzionale. Figuriamoci. Non solo. Perché nel 2007 la Lega di Bossi, Maroni e Zaia pose il veto ad un’analoga richiesta di federalismo che la Lombardia aveva avviato?

La Lombardia di cui lei era governatore al terzo mandato. E in maggioranza c’era anche la Lega.

Proponemmo di attivare l’articolo 116 della Costituzione e di aprire il confronto con il governo. Ma non mandai i lombardi alle urne, decisi di aprire una consultazione con tutta la società e le istituzioni lombarde — associazioni di categoria di tutti i settori produttivi, imprenditori, sindacati, università, centri culturali, terzo settore, comuni, province. La risposta fu praticamente unanime. Forte di quel consenso andai in consiglio regionale, dove su 80 consiglieri ebbi solo il voto contrario di Rifondazione comunista.

A Roma l’aspettava Prodi.

Io per la Lombardia e lui per lo Stato firmammo un documento che dava inizio al negoziato. Come governatore chiedevo di avere la competenza su 12 materie che potevamo dimostrare di saper amministrare meglio del governo centrale. Quel tavolo si sviluppò positivamente per sei mesi.

Ma Prodi cade a inizio 2008. E alle elezioni di aprile vince Berlusconi.

Berlusconi stravince e si ritrova la maggioranza più forte mai avuta da un governo in Parlamento. Ovviamente chiedo di proseguire la trattativa. Scrivo a Berlusconi e a Bossi ma non ottengo risposta. Fino a quando viene indetta una riunione non istituzionale, ad Arcore, in cui la Lega dice chiaramente no al progetto.

Un paradosso: la Lega che blocca il federalismo. Forse perché non sarebbe stato il Carroccio a gestire l’operazione?

Al contrario: Bossi era ministro delle Riforme! Il punto era un altro: non volevano che il federalismo in Lombardia portasse la firma di Formigoni e non della Lega. Berlusconi mi invitò in giardino, mi prese sottobraccio e mi spiegò le cose come stavano: Roberto — mi disse — la Lega non lo vuole. 

E lei?

Gli chiesi se poteva accettare una cosa del genere, un veto a uno dei suoi governatori e dunque a lui medesimo. Sai com’è fatta la Lega — mi disse — non vogliono che questa cosa vada avanti. Non ci fu verso. Quello stesso giorno parlai anche con Bossi: Roberto stai tranquillo, faremo il federalismo fiscale, volteremo pagina con quello. Lei ricorda come è andato a finire il federalismo fiscale? Una bolla assoluta.

Insomma l’autonomia in Lombardia si è fermata per il veto della Lega. Rieccoci a Maroni e Zaia. 

Maroni e Zaia oggi devono spiegare perché quello che non andava bene 10 anni fa va bene adesso. Perché allora il treno non fu preso? Maroni lo spieghi ai cittadini lombardi.

Ma la strada era percorribile?

Certamente. Bastava volerlo. Una volta che lo Stato e una Regione firmano un accordo, questo va ratificato dalla maggioranza assoluta dei componenti delle due Camere. Per il centrodestra sarebbe stato facilissimo, avevamo uno spazio politico enorme.

Visto che la strada di Maroni e Zaia rientra, via referendum, nell’alveo dell’articolo 116, cosa dovrebbero fare domani i due governatori leghisti?

So quello che dovrebbero fare oggi: dire la verità. Dovrebbero dire cinque cose ai cittadini lombardi e veneti. La prima: scusateci per avervi fatto perdere tempo, oggi chiediamo il vostro consenso per fare ciò che dieci anni fa abbiamo bloccato. La seconda: non è vero che si tratta di avere lo statuto speciale. La terza: ma quali soldi, il residuo fiscale non è in discussione. La quarta: vorremmo avere queste competenze, ve le elenchiamo tutte.

E la quinta?

Visto che siamo alla fine della legislatura e non si può sapere chi vincerà nel 2018, inseriamo il referendum nel nostro programma elettorale, se volete che chiediamo l’autonomia votate per noi. Questo era il percorso limpido. 

Era, lei dice. E invece?

Ora che il referendum è stato indetto, sono sicuro che i cittadini lombardi sapranno decidere con saggezza che cosa fare, per esempio se andare a votare o no.

In Veneto c’è il quorum anche per il referendum consultivo.

Il vero quorum, in Lombardia come in Veneto, è politico. Gli stessi Maroni e Zaia hanno ammesso che con meno del 50 per cento di votanti il referendum sarà un fallimento. E ci mancherebbe altro. Direi di più: per dire che il referendum è riuscito dovrebbe votare l’80 per cento degli aventi diritto. Chi è contro l’autonomia? Nel 2007 avevo con me tutto il consiglio regionale. Il problema vero sarebbero le conseguenze politiche di un flop.

Chiede le dimissioni di Zaia e Maroni?

Io no… Ma con il loro referendum rischiamo di cestinare il tema dell’autonomia. Questa sarebbe una cosa molto più seria delle loro poltrone.

Appunto. Se è in gioco l’autonomia, lei andrà a votare o no?

La domanda che il referendum pone è di una banalità straordinaria. Ho già detto che è come chiedere ai cittadini se vogliono bene alla mamma o no. Io alla mamma voglio bene.

(Federico Ferraù)