E’ stata una storia complicata, a volte, ma sostanzialmente onorevole e in alcuni casi di grande rilievo, quella della Banca d’Italia, istituzione che è nata ufficialmente il 10 agosto 1893, dopo le turbolenze dell’unità italiana, delle diverse banche che, per tradizione storica, emettevano addirittura monete diverse, della cosiddetta “questione bancaria” del 1863 e soprattutto dello scandalo della Banca Romana (1889-1892) che coinvolse Francesco Crispi e sfiorò persino Giovanni Giolitti. Quello fu per l’Italia uno dei primi e paradigmatici scandali politico-finanziari.



Ma gli episodi non inficiano una grande tradizione. Tra i nomi dei governatori di Bankitalia ci sono uomini che hanno fatto bene, che sono stati protagonisti positivi della storia di questo Paese e sono stati un’autentica eccellenza in campo finanziario mondiale. Si possono citare, solo come esempio, Bonaldo Stringher, Domenico Menichella, Luigi Einaudi, Guido Carli, Paolo Baffi, Carlo Azeglio Ciampi.



Eppure questa grande storia, questa tradizione, rischia oggi di entrare nel tritacarne di una contestazione indiscriminata sul ruolo delle banche, sul prima e sul dopo crisi finanziaria del 2007, sul ruolo soprattutto di vigilanza che ha svolto e che ha ancora la Banca d’Italia, anche dopo l’entrata nel 1998 nel sistema europeo delle banche centrali. 

Ci sono stati altri momenti complicati, anche se meno oggetto di dibattito nell’opinione pubblica, come quello del 1981, quando la Banca d’Italia si separò dal ministero del Tesoro, quando non si conoscevano le quote di partecipazione al capitale, pur essendo sempre la Banca d’Italia (c’è stata una sentenza della Cassazione) un’istituzione di diritto pubblico. E anche quando si cominciò a discutere sulla durata del ruolo di governatore. Il primo che fu nominato con scadenza fu Mario Draghi.



Sono solo dettagli di un cambiamento, che però oggi riemergono in un dibattito che, indubbiamente, con la crisi ha indebolito l’immagine delle banche. L’ex governatore della Banca d’Inghilterra Lord Mervyn King ha detto seccamente: “Di tutti i modi per organizzare l’attività bancaria, il peggiore è quello che abbiamo oggi”.

Con tutta probabilità, l’accusa è ingenerosa e troppo tranchant, ma certamente il ruolo delle banche nella crisi del 2007, non solo con la distribuzione a pioggia dei mutui subprime (senza metterli a bilancio dell’istituto ma di controllate come in una holding) è stato rilevante. 

La sensazione che oggi hanno i cittadini è che nel giro di una trentina d’anni ci sia stata una profonda trasformazione del sistema economico e del sistema bancario, quello che era originariamente fondato sull’industria manifatturiera e più in generale di produzione. Oggi l’opinione pubblica pensa di avere di fronte un capitalismo finanziario dove il potere è concentrato in pochi grandi istituti di credito. Sembra quasi che le banche abbiano cessato il loro ruolo di supporto e di credito alla sviluppo, preferendo investire in prodotti finanziari dai quali viene generato altro capitale, in un sistema quasi autoreferenziale in cui i profitti nascono dalla speculazione senza passare attraverso il lavoro e la produzione.

C’ è un dato che per alcuni è inquietante: a partire dal 1980 l’ammontare degli attivi generati dal sistema finanziario ha superato il valore del Pil dell’intero pianeta. Da allora la corsa e l’incidenza della finanza nel mondo economico è stata dilagante, come la corsa al profitto che ha quintuplicato per massa di attivo l’economia reale nel giro di un trentennio.

Ci sono stati alcuni momenti cruciali di questa “corsa”. Innanzitutto una spinta, che sembra venire anche dalla Banca d’Italia, alla società per azioni anche nelle banche. I cittadini che erano cresciuti con l’idea di “banca servizio”, si trovano oggi di fronte a una “banca impresa” (che spesso non fallisce perché occorre salvarla per non creare danni peggiori) che deve, secondo la famosa dottrina McKinsey, “fare la felicità” degli azionisti. 

E’ noto ad esempio che, tra gli stessi banchieri (la vecchia Mediobanca ad esempio) ci fu un dibattito aspro tra chi voleva le stock option e chi non le voleva, tra chi approvava la moltiplicazione dei derivati e chi vi si opponeva.

Tornando ai momenti cruciali, si può dire che sono stati due. Con la presidenza di Bill Clinton negli Stati Uniti si è attuata la deregolamentazione del sistema finanziario. Primo con l’abrogazione del Glass-Steagall Act, introdotto da Roosevelt dopo la crisi del 1929, è stata eliminata la separazione tra banche d’affari e d’investimenti, che così hanno riconquistato concentrazione di potere economico: poi è arrivata la norma del Wto che ha cancellato le regole considerate restrittive sul controllo dei derivati, ossia quei contratti o titoli il cui valore dipende da un’attività cosiddetta “sottostante”, dando il via libera al commercio di prodotti fuori Borsa e al proliferare della cosiddetta finanza-ombra.

Da un lato è tornata quella che molti banchieri definivano  una “sciagura”: la cosiddetta “banca universale”, che fa tutto e non si occupa solo di tenere il tuo denaro e di fare prestiti a imprese e famiglie con spirito di servizio; dall’altro si creano, a quanto si dice, tipologie di derivati sempre più sofisticati che vengono scambiati fuori dalle Borse. Essendo titoli cosiddetti “transitori” non rispondono al bisogno di essere registrati nel bilancio delle banche e sfuggono alle normative del settore. Sfruttando queste falle del sistema, da esso create, le holding finanziarie hanno creato una miriade di società indipendenti, cui trasferiscono fuori bilancio grossi capitali che in tal modo diventano invisibili.

E’ difficile raccapezzarsi in una simile complessità ed è difficile attribuire responsabilità a istituzioni come la Banca d’Italia in tale sistema.

E’ quindi complicato, senza cadere in schematizzazioni, anche affrontare le recenti crisi che hanno interessato l’Italia. Quale relazione esiste tra i tentativi d’espansione del Monte dei Paschi di Siena e la sua crisi? Quale relazione esiste tra la vendita di “prodotti rischiosi” di banche commerciali e popolari (poi fallite con danni ai clienti) e la mancata vigilanza della Banca d’Italia?

L’impressione è che, in questo momento non si debba mettere sotto accusa solo la gestione dei crediti, nel senso di “soldi concessi agli amici degli amici” e nemmeno di “giochi politici sotterranei”, quanto piuttosto una filosofia bancaria che si è imposta in questi anni e che ha coinvolto nella crisi il sistema economico e non riesce oggi a farlo uscire da questo tunnel.