Caro direttore,
c’è un circolo vizioso da rompere nella nostra vita politica: quello delle ripicche e delle vendette. Magari sono piccole ripicche, piccole vendette, magari sono giuste, ma — anche quando sono giuste — finiscono raramente con il costruire qualcosa di positivo.

Ho superato le mie remore sul referendum del 22 ottobre: andrò a votare e voterò convintamente Sì.



Non dimentico che la Lega qualche anno fa si oppose all’analoga proposta fatta da Formigoni: voleva evitare che il merito del referendum sull’autonomia — mite e assolutamente accettabile — potesse diventare merito del partito di Formigoni? Non lo so, ma credo di sì: chi aveva inneggiato alla scissione e all’indipendenza da “Roma ladrona” non poteva accettare facilmente di essere scavalcato; chi era stato ministro degli Interni non poteva accettare a cuor leggero che il popolo sostenesse la necessità di quella scelta “mite e ragionevole” che lui non aveva saputo concretizzare. Oggi la situazione è cambiata: dovremmo rispondere allo stesso modo, dicendo No a chi, allora, non era stato capace di dire Sì? Non mi pare saggio. Voglio credere a Maroni quando dice “Il referendum non è mio, ma di tutti i cittadini”: spero abbia davvero imparato la lezione.



Dico il mio parere anche quando non mi è chiesto; dovrei non farlo quando ufficialmente sono invitato a farlo? Il dibattito di questi ultimi mesi, soprattutto la polemica tra la Meloni e Maroni, dovrebbero aver chiarito a tutti che il “buon politico” non deve fare il furbetto e non deve impuntarsi per attribuirsi meriti che tali non sono: sarebbe come se il servo (i politici sono “a servizio” del popolo, al quale soltanto appartiene la sovranità, come afferma la nostra Costituzione) pretendesse di essere lodato quando fa il suo dovere. Il Vangelo ce lo dice chiaro e, pensando a quanto Papa Francesco ci ricorda spesso, verrebbe da dire “papale, papale”: “Anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc. 17,10).



La democrazia esige che ciascuno faccia la sua parte. Votiamo, dunque e votiamo Sì. Ma attenzione: dopo il voto non ritorniamo a ripiegarci su noi stessi. La richiesta di autonomia non sia solo la richiesta di goderci i nostri soldi, ma sia l’assunzione di un impegno serio a costruire una società più giusta, più rispettosa della famiglia, dei lavoratori, dei giovani e degli anziani, una società in cui ciascuno paghi le tasse (ne pagheremmo tutti di meno se tutti le pagassero!) e la persona (uomo e donna, nella sua unicità irripetibile) sia il soggetto al centro dell’attenzione di una classe politica che sappia concepirsi davvero a servizio del popolo. Solo così questo referendum, “inutile” per tanti aspetti, potrà produrre frutti utilissimi alla crescita della nostra società. Magari — chissà, le vie del Signore sono davvero infinite! — magari potremmo arrivare ad avere anche un Parlamento più credibile e rispettoso dei suoi elettori.

Luigi Patrini