Silvio Berlusconi, uno che ha l’occhio allenato di chi ha fatto tanti casting, aveva visto bene. Luca Zaia va tenuto d’occhio. Il referendum di ieri è una vittoria tutta sua e solo di riflesso di Roberto Maroni. Il governatore veneto ha capito che le istanze autonomiste non sono paccottiglia del passato come crede Matteo Salvini, e forse un po’ anche Maroni che non si è tuffato in campagna elettorale a capofitto come ha fatto il governatore veneto. I dati dell’affluenza sono chiari: all’1 di notte l’esito è 60 per cento contro 31 (ma lo scrutinio non è completo), il doppio dei veneti è andato a votare rispetto ai lombardi. Zaia batte Maroni 2-1, ma Zaia-Maroni battono Salvini 3-0. Il dato di ieri è che la Lega non si identifica soltanto con il sovranismo di Salvini. Il segretario del Carroccio dovrà misurarsi con le istanze che ha voluto trascurare e con due colleghi di partito che possono fargli da contraltare.



Ma la Lega di Zaia e Maroni non è nemmeno la folcloristica Padania di Umberto Bossi, da cui comunque entrambi provengono. I due governatori sono stati in grado di imbastire un processo riformistico restando nell’alveo delle regole costituzionali, rispettando le sentenze della Consulta ed evitando fughe in avanti o di lato e soprattutto senza ipotizzare la rottura dell’unità nazionale. Ieri Zaia ha detto che non è una vittoria di partito ma di popolo, un successo trasversale. Non esiste il partito dell’autonomia ma il popolo che vuole l’autonomia. Un modo per sottrarre la Lega alle polemiche interne.



Oltre a Zaia festeggiano i sostenitori dell’asse di centrodestra, che si è mosso unitariamente in questa occasione trovando un terreno comune che non è soltanto quello della contrapposizione politica al centrosinistra, ma pone nel dibattito la gestione delle risorse finanziarie e i rapporti con le amministrazioni locali. Anche Fratelli d’Italia è stato della partita: in Veneto ben pochi hanno seguito la presa di distanza fatta a Roma da Giorgia Meloni. 

Per contro è andata in scena l’ennesima spaccatura nel centrosinistra. Una parte del Pd non ha avuto problemi a sostenere l’onda autonomista sollevata da Zaia e Maroni, un’altra parte se n’è tenuta alla larga. Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, non è andato a votare: non è un grande spettacolo vedere un rappresentante delle istituzioni ignorare un appuntamento elettorale sia pure consultivo. Nemmeno a Palazzo Chigi fa comodo il plebiscito federalista lombardo e veneto. Il dossier delle autonomie non era previsto in questa fine di legislatura ma dovrà essere aperto.