“Renzi può anche dire che il messaggio del referendum è serio, ma la sua partita al nord è persa. Zaia e Maroni? Si illudono se pensano che la strada sia in discesa”. A dirlo è Francesco Forte, economista, intellettuale di spicco del Psi e più volte ministro. Ieri Luca Zaia, sull’onda del successo referendario, ha lanciato “la costituzione di una Consulta per l’autonomia del Veneto” e “un disegno di legge per l’autonomia speciale che completa le richieste d’autonomia”. E ha detto di volere trattenere in Veneto i 9/10 delle tasse. A questo il ministro per la Coesione territoriale De Vincenti ha risposto che la materia fiscale non si tocca, perché non fa parte dell’articolo 116 della Costituzione.
Che ne pensa, professor Forte?
Lo scopo di Maroni, il cui referendum era più coerente di quello del Veneto, era di portare in Lombardia una serie di competenze. L’operazione funzionerebbe. Maroni ha elencato alcune di queste competenze, Zaia non lo ha fatto.
Appunto. Parliamo del Veneto.
Lo statuto speciale è un obiettivo irrealizzabile. Zaia si è mosso più per slogan che per contenuti, usando un metodo che definirei renziano. Al di là di questo, bisogna anche dire che il titolo V mi pare mal fatto per come è stato scritto. Sono i difetti di quello che chiamo “federalismo consociativo”.
Qual è il punto, professore?
Il problema del federalismo differenziato è che il Veneto può non aver bisogno delle medesime competenze che servono alla Lombardia. L’autonomia deve dipendere dalla diversità dei territori.
E quindi ogni singola Regione dovrebbe condurre un negoziato autonomo.
Sì. Le vaccinazioni sono un problema nazionale, ma Venezia è una città così particolare che dovrebbe poter avanzare richieste sulla viabilità diverse da tutti gli altri territori.
Maroni e Zaia intendono andare a Roma a negoziare.
Non c’è tempo per avviare qualcosa di serio, perché la legislatura sta finendo. Se ne riparlerà dopo le elezioni.
Le istanze contenute nei referendum sono in conflitto con la Lega a vocazione nazionale di Salvini?
Certamente. Salvini pensa di cavarsela generalizzando le autonomie e offrendole al resto d’Italia, ma secondo me non è una buona idea. Ci sono Regioni, come Umbria, Basilicata e Calabria che sono troppo piccole e non hanno le strutture necessarie per gestire le deleghe.
Cosa si dovrebbe fare?
Modificare la Costituzione ridefinendo in modo chiaro l’interesse nazionale e l’attribuzione delle competenze, che oggi dà luogo ad una serie di problemi e di incertezze. Prenda i trasporti: si va da quelli statali a quelli intercomunali. E’ il caos totale. Manca un coordinamento regionale dei trasporti — ed per questo, tra l’altro, che lo smog va così facilmente oltre la soglia. Per non parlare della città metropolitana, un concetto nebuloso e senza strumenti.
Torniamo alla Lega di Salvini.
Un giocatore non può indossare due maglie. Estendere la Lega al resto del paese è impossibile. Lo può fare un partito di tipo nazionale, non un partito locale reinventandosi nazionale alla bisogna.
Il referendum ha riproposto la questione del nord. Questo cosa implica?
Che il problema della Lombardia è diverso da quello del Veneto. La Lombardia chiede più autonomia perché il nord è più sviluppato. In Veneto si è imposto il problema delle risorse, della salvaguardia dei patrimoni e dunque anche delle banche, che non è originato dalla vigilanza bancaria ma è condizionato dal contesto macroeconomico.
Berlusconi come leader della futura alleanza di centrodestra quale Lega sceglierà?
Se Berlusconi segue l’ispirazione liberale originaria di Forza Italia sceglierà la Lega di Zaia e Maroni, più vicina all’idea del federalismo competitivo di una diversità di modelli.
Nella sua ultima e-news, Renzi ha detto che “il messaggio del referendum è serio: si chiedono più autonomia e più efficienza, maggiore equità fiscale, lotta agli sprechi a livello centrale e periferico”.
La realtà è che Renzi non è riuscito ad afferrare queste tematiche e si è confermato incapace di fare una politica industriale o bancaria che parlasse al nord. Non ha saputo dire nulla alle industrie venete che andavano in crisi. E di questa crisi hanno fatto parte le banche. Se a questo aggiungiamo la gestione opaca di Banca Etruria e di Mps, il quadro è completo.
Con quali conseguenze?
La partita del Pd al nord è persa. Renzi crede di allargare il consenso promettendo alla gente di sinistra dei simboli, come lo ius soli. Ma oggi servono politiche di sviluppo. E il deficit serve a finanziare lo sviluppo, non a fare regali elettorali.