Che i dati referendari sulla maggiore autonomia della due regioni “locomotiva” del Belpaese non debbano essere ignorati appare un imperativo. Ma altrettanto chiaro appare il verdetto politico della domenica referendaria: Zaia trionfa, Maroni nella polvere!

A pochi mesi dalle elezioni regionali lombarde l’anti-Salvini per eccellenza appare in netta difficoltà. La brutta figura di un voto elettronico beffa (doveva rendere disponibili i risultati in 24 minuti mentre non sono bastate nemmeno 24 ore) e poi lo smacco di un quorum neppure avvicinato con oltre il 60 per cento dei “lumbard” insensibili agli appelli del presidente.



Passi falsi a cui un poco sereno Maroni ha cercato di rammendare pezze davvero poco credibili, imputando da un lato minimi problemi ad un sistema di voto che forse peggior debutto non poteva avere e, per altro verso, anticipando il rivale di partito Zaia (che molti accreditano quale nuovo candidato premier di Berlusconi in funzione anti-Salvini) con una telefonata al presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, il quale, con la solita invidiabile nonchalance, lo ha rimbalzato a via XX Settembre.



Maroni, dopo questa non proprio esaltante performance avrà comunque il lasciapassare per la ricandidatura? Probabilmente sì, anche grazie al sostegno di Salvini al quale serve come “l’olio nel lume”, un controcanto lombardo al crescente potere dell’ex ministro dell’Agricoltura ed oggi governatore del Veneto.

Un lasciapassare sul quale molti — c’è da scommettere — storceranno il naso perché è evidente a tutti che il Pirellone, sopratutto da domenica, appare contendibile come mai prima, tanto da far balenare nuove strategie e, forse anche, nuove candidature.



I giochi sono appena all’inizio, ma la sconfitta di Maroni al referendum potrebbe dare la stura a ripensamenti ed aprire proprio in Lombardia e proprio in quella parte del centro irrequieta ma molto radicata sul territorio scenari nuovi con candidature autorevoli, credibili, capaci al tempo stesso di superare la camicia di forza di uno stantio dualismo centrodestra-centrosinistra e creare ponti con quel mondo produttivo e culturale diffuso che, negli anni, ha fatto di Milano il “cuore pulsante” d’Europa.