Il fondo di ieri di Repubblica si intitolava “L’ambiguità padana”, e parlava di una sorta di destino quasi crudele per due Regioni che sembrano destinate a ritornare al centrodestra, secondo i sondaggi, gli umori e i risultati degli ultimi due referendum. E nel prospettare una vittoria del centrodestra in queste due Regioni del Nordest Repubblica vede solo il riaffermarsi di una politica di basso livello. Una politica rappresentata, oltre che da Berlusconi e da Salvini, soprattutto dai ricordi lasciati da Roberto Formigoni in Lombardia e da Giancarlo Galan in Veneto. 



Ma liquidare così il problema rileva una superficialità assoluta, figlia di una ignoranza e dimenticanza colpevole della storia, più antica e recente. 

E’ vero, ad esempio, che la “questione padana” è ambigua così come l’hanno sempre posta i leghisti, ma che esista una “questione settentrionale” lo si sa dal 1861, dalla proposta delle autonomie di stampo anglosassone fatte in primavera, svanite dopo la morte di Cavour, dopo la rivolta delle province meridionali e infine dalla svolta accentratrice del premier Bettino Ricasoli, che introdusse il prefetto e applicò alla Lombardia l’odioso statuto del 1859. Fatto di cui la classe dirigente lombarda non si  è mai dimenticata, persino quella riformista di Filippo Turati e Anna Kuliscioff, che chiamava il suo Psi sezione del socialismo milanese.



Lo capì in epoca più recente il comunista Giorgio Amendola, che fece a Monza nel 1970 il primo convegno sulle piccole e medie aziende. Parallelamente all’azione di Amendola, c’era tutta la sinistra riformista schierata per un’autentica riforma dello Stato in senso regionalista e autonomista.

Così nel 1992, contemporaneamente al giusto perseguimento degli illeciti di Mani Pulite e alla sua enorme strumentalizzazione politica che la storia un giorno giudicherà, l’opinione pubblica ha sentito il bisogno di superare il centralismo corrotto e clientelare attraverso una riforma costituzionale ampia e federalista. Lo ricorda anche un libro importante di una decina di anni fa, fatto a più mani e coordinato da un grande economista come Giuseppe Berta. La stessa sinistra al potere lo intuì, attuando pur in modo confuso e pasticcione un riforma federalista nel 2001. 



Alle carenze sulla storia si affiancano quelle sull’economia. Si continua a ignorare deliberatamente e colpevolmente che la Lombardia ha una capacità produttiva radicata nella storia e il suo Pil ha superato e forse supera ancora quello della Svezia, con delle eccellenze incredibili. Si continua deliberatamente e colpevolmente a non dire che la Lombardia ha funzionato dal 1995 ad oggi in modo eccezionale in diversi campi produttivi, nel settore della solidarietà attiva, della funzionalità dei servizi (si pensi solo alla sanità) ed è stata all’avanguardia nella presenza di personaggi della finanza e dell’industria che si sono sempre tenuti a debita distanza dal livello nazionale, piuttosto pasticciato, che vigeva a Roma.

Il Veneto, nonostante Galan, non è stato da meno nel suo sviluppo impetuoso, partendo da una situazione di autentica povertà in alcune zone.

Perché  queste esigenze delle due grandi Regioni-locomotiva finirono nella mani del “Berlusca” e del senatùr, totalmente incapaci di rispondervi nei lunghi anni dei loro governi?  Per rispondere, oltre ad accusare il pressapochismo culturale del centrodestra di governo, ben diverso da quello al potere nelle due suddette regioni,  bisognerebbe interrogarsi sulla “lungimiranza” della sinistra che prima ha scelto lo statalismo centralista e clientelista e poi è finita nel neoliberismo. E ha scomunicato chi capiva, come il succitato Amendola, che dopo essere stato  minacciato da Togliatti fin dal comitato centrale del novembre 1961, fu liquidato nel comitato centrale del 1979 dall’ombroso Enrico Berlinguer dicendo “il compagno Amendola non conosce l’abc del marxismo”.

A sinistra ha vinto così il connubio tra il centralismo scombinato di un personaggio come Achille Occhetto, i nipotini del catto-comunismo dossettiano e lazzatiano e i profeti del neo-liberismo di sinistra Alesina e Giavazzi. Così nessuno a sinistra in modo lungimirante e moderno ha sostituito un centrodestra senza vera visione economica ed istituzionale ben diverso da quello tedesco o anche spagnolo.  Tantomeno l’enfant prodige Renzi, fautore dal punto di vista istituzionale di un aumento del centralismo burocratico ed inefficiente nella sua riforma costituzionale sonoramente bocciata nel referendum del 4 novembre 2016.

L’anomalia non è quindi che il Veneto e la Lombardia chiedano un’autonomia in funzione del bene della nazione, ma che non ci siano a destra e a sinistra politici e opinionisti capaci di darvi risposta superando parimenti idiozie indipendiste e  superficiali commenti intrisi di morte e settarie ideologie.