Pietro Grasso, l’attuale presidente del Senato, non condivide più la linea del Pd e si è dimesso. Ma non da presidente del Senato, bensì dal partito che lo ha proposto ed eletto alla seconda carica dello Stato.

Ingratitudine? Non solo, forse. Nella scelta c’è molto altro di “strano”. Innanzitutto le motivazioni che si pongono in una strana fascia di mezzo tra il politico e l’istituzionale. Il presidente non condivide, oltre alla sostanza della riforma elettorale (posizione politica), il modus operandi della maggioranza e del Governo che sulla questione ha posto la questione di fiducia (motivazione istituzionale). Bene, se davvero la questione fosse stata la reiterata fiducia, Grasso aveva tra le mani un’arma infallibile, assai più efficace e sicuramente molto meno ambigua: le dimissioni da presidente del Senato. Ciò avrebbe aperto le porte ad uno scenario inedito bloccando di fatto l‘iter parlamentare del Rosatellum bis. E avrebbe dimostrato l'”altezza” istituzionale del personaggio. 



Invece no, Grasso ha permesso che tutto si svolgesse (ovviamente si dirà per responsabilità istituzionale) per poi fare la sceneggiata e farsi paladino delle ragioni dei dalemian-bersaniani e tentare di rubare (chi picchia prima, picchia due volte) il posto alla sua dirimpettaia Boldrini molto quotata come leader di un futuribile polo di sinistra.



Ma non finisce qui. L’anomalia istituzionale l’ha creata proprio il presidente “trasformista”: non si ricorda, infatti, un capo del Senato appartenente al Gruppo Misto, senza partito e, forse, senza maggioranza.

Perché la mossa forse troppo impulsiva e poco meditata istituzionalmente del presidente Grasso manca di chiarezza anche su questo versante. Grasso appartiene ancora alla maggioranza o no? Sostiene ancora il Governo Gentiloni da cui ha dissentito sulla fiducia alla legge elettorale oppure è all’opposizione?

Ma se è ancora dentro la maggioranza, come potrà divenire il leader dei fuoriusciti dal Pd visto che tutta la sinistra — a partire da Mdp (i bersaniani, per intenderci) — è fuori?



E, per contro, se è fuori della maggioranza perché non è passato subito nelle file di Articolo 1 (sempre, i bersaniani) evitando una manfrina dal vago sapore “ricattatorio” e senza dare adito a chi, da sinistra, lo vede come colui che non crede molto nel nuovo polo?

Insomma, Grasso l’ha fatta fuori dal vaso! La sua mossa non torna da qualunque parte la si valuti. Resta un’unica via d’uscita per fugare dietrologismi e speculazioni varie, quella delle dimissioni da presidente del Senato.

Una scelta che potrebbe restituire altezza al ruolo (questa sarebbe la vera responsabilità) e credibilità politica alla persona. Una scelta che esige coraggio, onestà intellettuale e, soprattutto, serietà.

Non resta che attendere, fiduciosi.