Matteo Renzi mostra di avere fretta. La direzione del Pd ha approvato all’unanimità il via libera al segretario per tentare l’ultima possibilità di trovare un accordo sulla legge elettorale. Ovviamente si tratta del Rosatellum 2.0, nome che sa di vino leggero e che costringe l’ex premier ad abbandonare la linea seguita fino a ora, quella del Pd come partito in grado da solo di schiantare gli altri. Lo schema della legge prevede una consistente quota di eletti con i collegi uninominali, il che impone ai partiti di fare accordi prima della formazione delle liste. Significa che Renzi ha accettato l’idea di presentarsi in coalizione. Lui se l’è subito rivenduta con l’immagine del baricentro, con tanti partitini satelliti che ruotano attorno a lui.
Il primo accordo, che non era scontato, è arrivato con la minoranza interna come dimostra il voto unanime della direzione. Orlando e Cuperlo hanno apprezzato “la reintroduzione del concetto di coalizione”. Anche Giuliano Pisapia, che si è detto “poligamo” quanto al futuro politico, ha accolto positivamente le “aperture a sinistra” del segretario Pd. C’è stata una strizzatina d’occhio anche ai bersaniani, che non entreranno in coalizione con il Pd ma saranno esentati dalla raccolta di firme per presentare le liste nelle varie circoscrizioni. Tanto il Mdp i seggi uninominali li vedrà con il binocolo.
Gli stessi problemi li avranno i 5 Stelle. E infatti il Rosatellum si è ormai rivelato per quello che è: una legge elettorale contro qualcuno. E i nemici sono appunto Grillo e D’Alema. Per questo Renzi ha dato il colpo di acceleratore in direzione. O adesso o mai più. È il momento delle decisioni, degli schieramenti; è il momento di tenere unito il partito e il fronte del centrosinistra, a costo di qualche concessione. Il che contribuisce a spiegare le aperture di Renzi, che poi si tradurranno anche in posti nelle liste. Se il Pd può coltivare qualche speranza di restare al governo, tale fiducia è legata a un sistema elettorale non proporzionale. La via è quella delle coalizioni, cioè degli accordi a monte e non fatti dopo il voto.
Se Renzi ha il problema di tagliare l’erba sotto i piedi dei grillini e di ridurre al minimo le truppe dei bersaniani, sulla sponda opposta Silvio Berlusconi appare ancora in mezzo al guado. Il leader di Forza Italia in questa fase non vorrebbe essere incardinato in un’alleanza troppo stringente con la Lega; preferirebbe avere mani libere e affrontare la situazione dopo il voto. L’iniziale via libera al Rosatellum, almeno nelle intenzioni del Cavaliere, sta evolvendo. Berlusconi è tentato di vedere se il centrosinistra da solo è in grado di portare avanti la nuova legge, e solo a quel punto aggregarsi al carro del vincitore. Se il Pd fosse in difficoltà, meglio mollarlo al suo destino e andare a votare con il proporzionale risultante dai tagli della Consulta, in modo da poter dettare condizioni dopo il voto.
Berlusconi punta molto sul voto in Sicilia, che secondo le previsioni sarà favorevole al centrodestra e disastroso per l’alleanza Renzi-Alfano. Ma importante per il Cavaliere sarà anche il voto ai referendum del 22 ottobre per misurare il peso della Lega. Il numero dei votanti, soprattutto, sarà un indicatore per valutare la capacità di mobilitazione del Carroccio. Matteo Salvini ha ormai abbandonato i toni secessionisti, ripete che dalla richiesta di maggiore autonomia sono estranei intenti eversivi alla catalana. Una posizione moderata rispetto alle rivendicazioni spagnole perché la Lega di oggi ha capito che secessione, indipendenza, Padania non smuovono più le passioni dei suoi elettori. Ma Berlusconi spera che sia moderata anche l’affluenza alle urne di Lombardia e Veneto. Lega più debole e mani più libere per trattare direttamente con Renzi i nuovi assetti.