Nelle stesse ore in cui la Catalogna cercava di dichiarare l’indipendenza e Madrid la reprimeva duramente, il sindaco di Roma, la giovane Virginia Raggi, praticamente dichiarava l’indipendenza della sua città dalla Repubblica italiana.

Stando alle notizie di stampa, certamente imprecise perché viste da Pechino, la Raggi infatti ha rifiutato per giorni di parlare con il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda che peraltro voleva proporle un piano per aiutare la capitale. Dalla Cina la cosa sembra incomprensibile e mostra più di mille dichiarazioni la disintegrazione dell’Italia.



In Cina un sindaco che si rifiuti di parlare col ministro verrebbe messo in galera il giorno dopo. Ma anche il ministro che prende sottogamba la cosa e non ne fa scandalo è altrettanto grave. Come se lo stato centrale dichiarasse la propria impotenza e inutilità rispetto ai governi locali. Se il ministro voleva ricucire per cercare un dialogo non avrebbe dovuto parlare del caso Raggi; se voleva scontrarsi per mostrare la frattura avrebbe dovuto farlo in maniera frontale. Invece ha dimostrato l’impotenza e lo stato di crisi avanzata del sistema.



Si tratta di una crisi istituzionale che la superficialità peggiora e segna una deriva di fronte alla quale i risultati delle prossime elezioni elettorali non contano. Chiunque vinca dovrà affrontare governi locali che, sulla scorta della Raggi, possono ignorare il governo, e ministri centrali che, sulla scorta di Calenda, si limitano a confessare la propria impotenza.

Di fronte a questo cancrenoso sfaldamento italiano allora è forse meglio lo scontro del primo ministro spagnolo Mariano Rajoy con le autorità di Barcellona, entrambi bloccati nel testa a testa sulla proclamazione di indipendenza catalana.



D’altro canto, hanno ragione i tanti osservatori internazionali che in questi giorni mettono a confronto la rozzezza di Madrid con la Catalogna rispetto alla destrezza di Londra con la Scozia. Londra ha affrontato e vinto la crisi del referendum per l’indipendenza indetto dalla Scozia nel 2014. Londra lo ha vinto convincendo con argomenti e senza manganelli la maggioranza degli scozzesi dell’opportunità di rimanere nel Regno Unito. Lo stesso avrebbe potuto fare Madrid, ma così non è stato e la crisi si è esasperata.

Comunque, è proprio Londra ad avere dato inizio a questa pericolosa deriva indipendentistica con il referendum sul Brexit nel 2016. Vediamo perché. Il patto non scritto del referendum scozzese era: la Scozia rimane nel Regno Unito e il Regno Unito rimane nella Ue. Solo che dopo il voto scozzese l’allora premier britannico Cameron pensò di aumentare i suoi margini di manovra con la Ue andando a un referendum sul Brexit dove sperava che i voti per rimanere vincessero di misura. Così avrebbe potuto dire a Bruxelles: vedete? sono l’unico argine contro gli inglesi irruenti. Invece gli inglesi del Brexit hanno vinto in maniera netta, rovesciando la situazione. Qui non è finita, perché Theresa May, succeduta a Cameron, ha cercato una conferma della nuova deriva antieuropea con un voto politico che invece ha praticamente perso.

Quindi la situazione in UK è avvitata, con il paese spaccato a metà tra chi è contro la Ue e chi è a favore, e per questo minaccia, come gli scozzesi o i nordirlandesi, di uscire dal Regno Unito se questo uscisse dall’Europa.

Questo avvitamento britannico è ormai da anni ispirazione per tutti quelli che vogliono spaccare la Ue o il proprio paese. Inoltre toglie all’Unione Europea una forza come la Gran Bretagna, importante per la sua riforma.

Infatti il problema che mettono in luce le vicende catalane o romane è che la Ue è nel suo momento più difficile. Da una parte non c’è una vera Ue funzionante, dall’altra gli stati nazionali hanno smesso di essere attori veri, avendo devoluto molte competenze a Bruxelles. In pratica i catalani vogliono uscire dalla Spagna ma forse restare nella Ue e magari non tenersi l’euro!

Luigi Di Maio, roccioso sostenitore della Raggi, dice tutto e il contrario di tutto sull’euro, ma poi afferma di volere certamente restare nell’Ue. Quasi come i catalani, i leghisti veneti vogliono uscire dall’Italia ma restare in un mercato libero con la Germania, magari svalutando la futura moneta per fare meglio concorrenza ai tedeschi. 

Hanno ragione perché ciascuno di questi vede un mondo confuso e confondente e cerca di ricavarsi la sua piccola nicchia di sopravvivenza. Hanno torto perché in mezzo a una bufera politica internazionale di queste dimensioni non ci sono vie di fuga. L’unica è pensare in grande, con strategie di lungo termine che portino gli europei in un mondo dove loro sono solo una piccola parte.

Il mondo futuro sarà infatti dominato dall’Asia, patria di oltre 4 miliardi di persone e produttore di oltre il 60 per cento della crescita economica mondiale. L’Africa poi si è messa in moto e l’America latina non si fa aspettare. In questo nuovo mondo che sta emergendo gli stati europei esistenti sono troppo piccoli per contare, figuriamoci le nuove aspiranti micronazioni come la Catalogna o il Veneto.

Inoltre a confronto con paesi come Cina e India, di oltre un miliardo di abitanti, la popolazione europea si assottiglia e per conservare il proprio benessere gli europei non vogliono figli. Ma per continuare a esistere devono diventare nazioni di immigrazione come gli Stati Uniti.

Solo che la Ue, per andare avanti, ha bisogno di un sostegno forte dagli Usa. Infatti la comunità europea, di cui la Ue è erede, nacque su iniziativa americana, non europea, per contrastare l’Urss. Il suo allargamento a est avvenne poi sempre su spinta americana e sempre contro Mosca. Oggi senza gli Usa protagonisti, con il Regno Unito avvitato, con la Russia fieramente contraria a una Unione europea forte, la Ue rischia di non potersi reggere solo sul duo franco-tedesco Macron-Merkel. Ciò è tanto più vero se paesi come Spagna o Italia giocano a spaccarsi.

Da qui si aprono una serie di scenari. Alcuni sono semplici e inquietanti, altri sono più rassicuranti ma molto difficili.

Quelli semplici dicono: seguiamo alcune tendenze di pancia di adesso. Se l’Unione europea si disintegra, tanto meglio, così l’euro non sarà un concorrente per il dollaro; la sterlina o il franco svizzero riprendono uno spazio e soprattutto finisce il punto di arrivo della via della seta asiatica. Se a questo si somma il caos del Medio oriente e del Centro Asia, l’Asia orientale rimane isolata dal Mediterraneo e il mondo diviso in zone di influenza separate da aree di confusione. In tale prospettiva l’aumento della tensione in Nord Corea può contribuire ad allontanare la Cina dalla sua via della seta e concentrarla intorno a una possibile guerra.

Stando così le cose uno scenario potrebbe essere quello di abbandonare al proprio destino gli europei riottosi, spagnoli o italiani, e creare una nuova Ue intorno ai franco-tedeschi. Le conseguenze sarebbe che il confine libico si allargherebbe ai Pirenei e alle Alpi.

D’altro canto invece un sostegno americano alla Ue potrebbe aiutare a stabilizzare il continente creando poi delle dinamiche positive anche per la Russia, che non può essere emarginata. Questo poi potrebbe andare in parallelo col trovare una soluzione pacifica in Nord Corea tra Cina e Usa, cosa che riporta poi entrambi ad un ruolo costruttivo in Centro Asia.

Per arrivare a questo occorrerebbe lavorare sull’amministrazione americana, dove il segretario di Stato Tillerson, insieme a Mattis (Difesa), McMaster (Sicurezza nazionale) e Kelly (capo di gabinetto della Casa Bianca) sono dei realisti, non attratti da certi profeti del caos. Lo stesso presidente Trump non è ideologico, è un uomo d’affari, pragmatico, e potrebbe essere portato su queste posizioni.

Tuttavia, in Usa o tra franco-tedeschi nessuno ha più voglia di immergersi nel fango sud-europeo, dove non si capisce chi è buono e chi è cattivo. Così sta a spagnoli e italiani salvarsi da sé. Lo faranno? In Spagna dovremo aspettare le prossime settimane per capire se e come Madrid ricalibrerà il suo approccio con la Catalogna.

In Italia invece la vicenda Raggi-Calenda sembra andare oltre un facile cupio dissolvi; pare l’accettazione che la dissoluzione sia già avvenuta e non c’è niente da fare. In questo frangente sperare in un’alzata di ingegno di un leader italiano pare inutile. Forse solo il cancelliere tedesco Angela Merkel potrebbe appellarsi ai cuori e alle menti degli europei del sud oggi perché ritrovino la forza di liberarsi dal fango in cui si sono cacciati. Ma ci vuole forse anche uno sforzo di tutti, partiti e giornali per primi, per guardare oltre la difesa di interessi quotidiani, per trovare un nuovo spirito di Italia e di Europa.