In principio furono le uova, i pomodori, le scritte offensive e le proteste. Poi i siciliani si abituarono anche a lui, a Matteo Salvini. Da popolo di colonizzati in eterno alla fine si fecero “scivolare di sopra” (in gergo locale, lasciarono che gli eventi non disturbassero la loro quotidianità) anche questo. Dopo arabi, spagnoli, normanni, francesi, borboni: dopo Garibaldi e le italiche gesta, dopo i partiti conquistatori e predatori chi mai potrà ancora accorgersi di un Salvini qualunque.
E invece alla fine no, non sarà così. Forse vittime delle “sindrome di Stoccolma” o forse semplicemente capaci di guardare un po’ più in là, i siciliani cominciano a cambiare atteggiamento con Matteo Salvini.
Sparite le proteste di piazza e i manifesti abusivi che lo invitavano a tornare a casa, da qualche tempo il leader della Lega giunge in Sicilia senza doversi preoccupare di contestazioni, scende fra la gente, mangia cibo di strada e fa selfie di qua e di là quasi fosse una star.
E’ iniziata così anche la sua ultima visita in ordine di tempo. Da domenica scorsa Salvini è in Sicilia e vi resterà fino a venerdì per chiudere la campagna elettorale a favore di Nello Musumeci candidato presidente della Regione. Un candidato che proprio i salviniani, insieme a Fratelli d’Italia, hanno imposto alla coalizione di centrodestra con Forza Italia che alla fine lo ha accettato per evitare una spaccatura, ben sapendo che solo unito il centrodestra può tornare a vincere.
Cosa succede, dunque, fra Salvini e i siciliani? Il leader del partito nordista italiano può raccogliere consenso perfino in Sicilia dove sembrava non sarebbe entrato mai? Sembra proprio di sì. Il risultato che dalle regionali potrebbe uscire non sarà certamente stratosferico, ma le valutazioni parlano di una quota che sta fra il 3,5 e il 5 per cento. Certo la lista è fatta insieme a Fratelli d’Italia e dunque non è tutta farina del sacco leghista, ma se fossero andati da soli probabilmente gli uomini e le donne della “Lega dei popoli, Noi con Salvini” (così si fa chiamare la Lega fuori dai suoi territori) il 3 o il 3,5 per cento lo avrebbero messo insieme. Ma in Sicilia c’è il problema dello sbarramento al 5 per cento, e dunque bisogna stare insieme per poter eleggere qualche deputato anche se separati forse si sarebbe riusciti a portare il 3 per cento ciascuno. Meglio per il presidente ma peggio per la deputazione.
Come accade tutto questo? Abbandonata la politica anti meridionalista di Bossi, Salvini ha scelto di far diventare il suo un partito nazionale. La strada è la stessa utilizzata al Nord per costruire la base leghista. E’ la strada dei piccoli passi. Non un exploit ma una crescita lenta ma costante del consenso. Nell’ultimo anno Salvini è stato in Sicilia nove volte e ogni volta l’atteggiamento dei siciliani è stato diverso. Affronta i temi veri che riguardano la popolazione, parla con la gente nei mercati, nelle stazioni ferroviarie, sui treni. In Sicilia ha creato una squadra. Con lui ci sono persone come Alessandro Pagano, ex assessore regionale al turismo prima e all’economia dopo, deputato eletto nelle fila di Forza Italia, uomo noto e di esperienza con una base elettorale nella Sicilia centrale e con capacità di penetrazione nella Sicilia occidentale.
Pagano coordina la Lega dei popoli da questo lato dell’isola ed ha uomini e donne nel tessuto produttivo. Dal lato opposto dell’isola c’è Angelo Attaguile, altro deputato di lungo corso. E Salvini “scende” ogni volta che ne ha l’occasione per parlare alla gente. Agli striscioni con scritto “Vattene” si sono sostituiti le chiacchiere da mercato, i selfie e così via. Oggi Salvini è un uomo politico senza mezze misure. O lo si odia o lo si ama. I siciliani lo odiavano e basta, e a ragione. Adesso non sanno più se odiarlo e intanto iniziano a votare i suoi candidati.
“Dammi tempo ‘ca ti percio, disse u surci a nuci'” (se mi dai il tempo, piano piano ti bucherò disse il topo alla noce) recita una detto siciliano. Un detto che Salvini sembra aver fatto suo.