Tutti stanno concorrendo alla crisi della nostra democrazia parlamentare, anche coloro dai quali ci si aspetterebbe una discesa in campo. Da Grasso a Prodi. E’ l’opinione di Rino Formica, ministro socialista delle Finanze e del Lavoro nella prima repubblica. Formica abbozza lo scenario più cupo. “Mi interessa poco sapere se Grasso ha incontrato Bersani o Cuperlo — dice al sussidiario —. Ciò che conta è che aumentano i segni tangibili del disfacimento istituzionale”.



Istituzionale dunque e non solo politico. Come mai?

Grasso ha aperto la questione del vulnus istituzionale venuto dal voto di fiducia sulla legge elettorale voluto dal Pd. E ha fatto bene, perché un partito ha impedito la libertà democratica dei parlamentari su una legge politica di grande rilevanza.

E ha ritenuto che la denuncia fosse doverosa. Ma?



Ma non ha compiuto l’atto politico conseguente, capace di dare il giusto tenore di drammatizzazione che avrebbe scosso il paese. 

Si è dimesso dal gruppo parlamentare del Pd, ma non da presidente del Senato.

Qui sta la debolezza del suo gesto. Non essendosi dimesso, i suoi gesti successivi vanno inevitabilmente ad incidere sull’autorevolezza dell’istituzione che presiede. Ricevendo da presidente del Senato i rappresentanti di una nuova forza politica, trasforma l’istituzione in una bottega di partito. Il risultato è quello di concorrere anche lui alla demolizione della democrazia parlamentare. Non parliamo ovviamente di chi lo sta facendo da tempo. 



Il paese andrà al Movimento 5 Stelle?

Non credo. Con la nuova legge elettorale, il paese va diritto verso la celebrazione di un voto inutile. La domanda è: come può reggersi una democrazia parlamentare sapendo che il voto degli elettori non serve a nulla, dato che il parlamento non riuscirà ad esprimere un esecutivo serio e stabile? 

Ad un paese del genere non resta altro che essere commissariato. Arriverà la troika?

Prima ho detto che M5s non è una soluzione alternativa. Ci attende un tempo di novità. 

Per quale motivo?

Perché nel frattempo l’astensione potrebbe raggiungere livelli tali da superare nettamente il consenso complessivo dei partiti. Dopo le prossime elezioni si aprirebbe una breve fase, drammatica, destinata a condurre ad uno scioglimento anticipato. Quell’astensione potrebbe costituire il deposito delle forze di un rinnovamento democratico.

Quindi l’astensionismo sarebbe la strada per salvare il paese. Ma chi guiderebbe il rinnovamento?

Si può facilmente immaginare che le pressioni europee, insieme a quelle della Germania, che dopo la Brexit e dopo il consolidamento di Macron va cercando una nuova stabilità continentale, si troveranno a dover favorire in Italia una fase provvisoria di stabilità democratica sotto la responsabilità del presidente della Repubblica. 

E poi?

Contemporaneamente nascerà l’esigenza che le elezioni successive siano costituenti. Si dovrà eleggere un’assemblea costituente, preceduta da un referendum di convalida o di condanna della democrazia parlamentare come si è andata esprimendo negli ultimi 10 anni.

Ma sarebbe una costituente ancora sotto la nostra sovranità?

La sovranità non può essere fatta valere in una situazione di debolezza radicale delle strutture che ci ha consegnato lo stato moderno, perché sono precisamente queste strutture che hanno determinato la sovranità come oggi la conosciamo. Il disfacimento delle istituzioni è in atto e sta continuando sotto i nostri occhi. Prenda la commissione di inchiesta sulle banche. Non darà un euro ai risparmiatori truffati, in compenso assesterà un ulteriore colpo a tutte le istituzioni di garanzia e di controllo, dalla Consob a Bankitalia fino all’Antitrust e — in parte — alla Bce.

In questo scenario di decomposizione istituzionale e politica che ruolo giocherà la presidenza della Repubblica?

Il presidente Mattarella è la parte migliore della nostra classe dirigente ed è una persona in grado di fornire garanzie assolute di fedeltà democratica. Il problema è un altro. Quando arriverà la parte più buia della crisi, non avendo una forza politica di largo sostegno in ciò che sarà rimasto delle istituzioni, gli verrà meno il piedistallo su cui si appoggia l’autorità del presidente della Repubblica. In quel momento sarà tentato di fare come Celestino V.

(Federico Ferraù)