Dopo aver mancato il bersaglio piccolo, Ignazio Visco, ora Matteo Renzi punta a quello grosso, ovvero Mario Draghi. Non è un bombardamento a tappeto, è un attacco più felpato anche di quello condotto contro il riconfermato governatore di Bankitalia. È fatto di mezze frasi, di scuse non richieste, di mosse nello scacchiere della commissione d’inchiesta sulle banche; insomma, è più una guerriglia che una guerra perché il nemico è difficile da inquadrare. Ma l’offensiva è partita. E ora nella strategia dei parlamentari del Pd in commissione l’obiettivo è quello di offuscare l’immagine dell’ex governatore. In realtà le dichiarazioni ufficiali sono formalmente positive, ma sotto la brace cova il fuoco. Perché di Draghi si magnifica l’operato a Francoforte, ma nulla si dice di quando stava alla Banca d’Italia.



Nonostante la buona performance televisiva a La7, Renzi è in difficoltà sempre maggiori. La sconfitta siciliana è stata più pesante del previsto, non è un’attenuante quella di avere superato i consensi di Claudio Fava, l’uomo della sinistra che non è arrivato neppure alla doppia cifra, ma i consensi raccolti da Fabrizio Micari sono davvero imbarazzanti. E ora si scopre che anche le liste dell’aspirante governatore scelto dalla premiata ditta Renzi-Alfano avevano anch’esse la loro brava quota di “impresentabili”. 



La batosta non ha indotto il segretario del Pd a cambiare la rotta intrapresa nelle ultime settimane. Renzi non ha aperto a sinistra, quindi non ha fatto nessun passo in vista di formare una coalizione (non con Bersani o Grasso, ma almeno con Pisapia e Bonino) come richiede la nuova legge elettorale per la parte maggioritaria. Persiste nella scelta “grillina” di martellare sulle banche. Vuole fare dimenticare lo scandalo Etruria e presentarsi come il vero vendicatore dei risparmiatori traditi. Cerca di trovare un capro espiatorio cui addebitare le colpe dei crac creditizi, o magare più di uno: quando la commissione guidata da Casini arriverà a trattare il caso Montepaschi, Renzi ne scaricherà la responsabilità sulla cricca di Bersani, Fassino, D’Alema. E ora, con la strategia anti-Draghi, aggiunge un nuovo tassello al grande mosaico dell’autoisolamento.



Renzi è ancora convinto di non essere tagliato fuori dalla corsa per Palazzo Chigi. Si illude di avere buone carte in mano. Così mette le mani avanti se si dovesse arrivare a un’impasse in primavera dopo il voto: vuole fare terra bruciata attorno a uno dei nomi che circolano per un eventuale governo istituzionale, tecnico, del presidente, di salute pubblica o come diavolo si vorrà chiamarlo. Meglio avviare il fuoco di sbarramento in tempi non sospetti: questo è il pensiero di Renzi contro Draghi. 

La realtà è ben diversa da quella che il segretario del Pd ha disegnato nei suoi pensieri. Sergio Mattarella non è Giorgio Napolitano, non imporrà formule alle Camere ma lascerà che siano i partiti e il Parlamento a proporgli ipotesi di governo. E Mario Draghi non ha alcuna intenzione di lasciare Francoforte prima della scadenza del mandato, oltretutto per infilarsi nel terreno minato italiano, un Paese che ha largamente beneficiato delle politiche monetarie della Bce. Mai e poi mai Draghi vorrebbe attirarsi l’accusa di conflitto d’interessi.

Nel battage renziano contro il capo della Bce si innesta anche una probabile rivalsa contro la difesa che Draghi ha fatto di Visco. Renzi era pronto a pensionare il governatore con tutti gli onori se si fosse fatto da parte: invece ha dovuto prendere atto che l’establishment era compatto per la riconferma del numero 1 di Via Nazionale. L’attacco di Renzi a Visco ha portato anche i perplessi a difendere il governatore. E adesso a maggior ragione si salderà il fronte a difesa di Draghi. Oggi Pisapia terrà un’assemblea a Roma e domani si riunisce la direzione del Pd. E vedremo se Renzi aggiungerà qualcun altro al bouquet dei suoi bersagli.