“Dobbiamo applicarci a salvare il salvabile”. Arturo Parisi — che parla di sé come “zio” dell’Ulivo, il padre rimane Prodi — si riferisce a tutto il centrosinistra da Renzi a Bersani e oltre. Per dare un futuro al centrosinistra, spiega a ilsussidiario.net, occorre demolire al più presto il muro che c’è tra Renzi e Bersani. Per questo il confronto avviato da Fassino deve partire subito o sarà troppo tardi. Ma ogni tentativo, e ogni possibile approdo, nasce debole, secondo Parisi, e la colpa è del Rosatellum, una legge elettorale sciagurata che rende improprio parlare di coalizioni: al loro posto ci saranno semplici apparentamenti per raccogliere quanti più collegi maggioritari possibili. “Anche gli apparentamenti però necessitano di una qualità politica che dia conto del perché quei partiti si associano tra loro e non con altri”. Sarà questo l’ultimo appello per evitare la disgregazione.
Arturo Parisi, nell’ultima direzione del Pd Renzi ha detto di voler aprire ad una coalizione la più ampia possibile, Bersani e i suoi dicono che è troppo tardi. Chi ha ragione?
Per la verità nella risposta di Bersani ho sentito un “tardi”. Spero che quel “troppo” lo abbia aggiunto lei. Se tardi significa che siamo in ritardo ci possiamo arrivare da soli. Solo chi non conosce i tempi della politica può ignorare che tra un mese, quando ci lasceremo per le feste natalizie, le alternative da sottoporre al voto sulla scheda elettorale dovranno essere ormai delineate per lasciare poi il mese di gennaio all’individuazione dei candidati. Sì, siamo in ritardo. In grandissimo ritardo. A dire che siamo già in campagna elettorale basta peraltro il fatto che i due presidenti delle Camere abbiano dismesso i doveri di terzietà per posizionarsi da cittadini comuni secondo le proprie scelte di parte.
Ma Renzi e Bersani?
È per questo che sia Renzi che Bersani dicono entrambi la verità. Il primo quando riconosce che non provarci neppure ora equivale a rinnovare la scommessa che ci portò in passato alla sconfitta. Il secondo quando dice che tentarci non è una passeggiata se si pensa alla quantità di macerie che negli ultimi due anni sono state accumulate sul terreno.
Macerie che tra le rispettive basi di riferimento sono talvolta diventate muri.
Ma nel rimuovere le macerie e demolire i muri non è mai troppo tardi. Come sarebbe invece se, come ho letto, il confronto affidato a Fassino iniziasse per scelta della sinistra soltanto in dicembre.
Cosa pensa del Rosatellum?
Basterebbe già la data di pubblicazione della Rosato in Gazzetta Ufficiale ormai alla vigilia dello scioglimento delle Camere per dire tutto il male che deve essere detto di questa legge sciagurata. Non c’è bisogno della Corte europea dei diritti dell’uomo per ricordarci quanto è lontana da una corretta idea di democrazia la definizione delle regole del gioco mentre la partita sta per iniziare. Ma a questo obbrobrio hanno contribuito in troppi. Purtroppo Renzi è stato in grande compagnia nel Pd e fuori dal Pd. Dentro i partiti e nelle istituzioni. Con azioni ed omissioni. E anche quelli che a questo esito si son sottratti l’hanno fatto in nome di motivi e di proposte dal mio punto di vista anche peggiori.
Si può realmente volere una coalizione senza mettere in discussione la leadership?
Che Renzi sia il leader del Pd non mi sembra in discussione. Quanto alla leadership della coalizione, va detto che con l’apparentamento elettorale previsto dal Rosatellum essa è una “cosa” che non può credibilmente puntare a conquistare da sola il governo. Si può soltanto dire che, nel caso, se ne parlerà a suo tempo. Mi sembra che sia quello che ha detto Renzi.
Perché apparentamenti e non coalizione?
Diciamo innanzitutto che il Rosatellum è una legge sostanzialmente proporzionale e mette quindi capo ad una competizione di tutti contro tutti. Quelle previste non sono coalizioni per il governo, ma precari apparentamenti elettorali che incoraggiano ad allearsi per lucrare nella residua quota maggioritaria qualche seggio in più ai danni delle liste che non riescono o non vogliono associarsi ad altri davanti ai cittadini neppure per il tempo delle elezioni. Detto questo anche gli apparentamenti elettorali presuppongono un prima e alludono ad un dopo.
Vediamoli.
Il prima nel caso del centrosinistra e del centrodestra è rappresentato non solo dal fatto che quei partiti hanno nel passato condiviso la responsabilità del governo nazionale, ma che nel presente governano assieme molte regioni e molti comuni. Anche gli apparentamenti necessitano quindi di una qualità politica che dia conto del perché quei partiti si associano tra loro e non con altri, una qualità che alimenti la speranza che il loro incontro continui anche dopo il voto. Tuttavia, poiché non annunciano né un governo né una comune opposizione, come ho detto, hanno perso per strada anche la necessità di un vero leader comune proposto come prossimo premier.
Come si può razionalmente e politicamente sostenere che il 40 per cento delle europee 2014 è il 40 per cento del sì al referendum, dopo le sconfitte delle regionali 2015 e delle amministrative 2016 e 2017 e dire di puntare al 40 per cento?
Non si può. Se poi il solo dirlo attira gli elettori e incoraggia gli eligendi lo si dica pure. Ormai siamo in campagna elettorale. Tutti dicono e possono dire molte cose.
Qual è la sua lettura del nuovo impegno di Veltroni?
Perché nuovo? Mi sembra in continuità col percorso aperto con la sua uscita dal Parlamento nel 2013 e ancor prima con le sue dimissioni dalla segreteria nel 2009. In politica è impegnato a rielaborare l’ispirazione del suo cammino passato, fuori della politica a rispondere alla sua vocazione più profonda. Tutto il resto appartiene al futuro.
Lei conosce benissimo Romano Prodi. A quali condizioni potrebbe tornare in campo?
Più in campo di come è? In Italia e all’estero. Con riflessioni e proposte di governo. Pensi ai suoi interventi settimanali sul Messaggero, o alla proposta puntuale e allo stesso tempo di respiro affidata al suo ultimo Il piano inclinato. In campo non solo da cittadino democratico appassionato come mai di politica, ma anche generosamente impegnato a favore dell’unità del centrosinistra.
Quali sono i torti e le ragioni dell'”altra” sinistra, prendiamola per ora unitariamente, quella che va da D’Alema a Grasso, Da Pisapia a Fratoianni alla Boldrini?
I torti come le colpe sono rigorosamente personali. Per ognuno di noi il principio che vale è lo stesso. Le ragioni sono rappresentate dall’esistenza di quote di elettori che nel campo della sinistra si riconoscono ancora in identità e proposte che lo stesso Pd non considera più prioritarie, e non riconoscono ancora che al centro della politica sta il governo e la sua scelta e non più la delega a farsi rappresentare su come opporsi ad esso. Quanti siano ancora questi elettori lo vedremo presto. I sondaggi ci dicono tuttavia che ci sono ancora.
Il Pd è un partito di sinistra? di centrosinistra? o cos’altro?
Se centro è un punto, il punto che nell’azione di governo rappresenta la sintesi tra ragioni diverse, spesso all’inizio addirittura opposte, il Pd non può essere che il partito che nella sinistra si propone di portare verso il governo e quindi verso il centro tutta la sinistra. Se centro è l’area di elettori non schierati nettamente a favore di nessuna delle due alternative, il Pd non può non farsi carico di quella quota che anche se con disagio guarda prevalentemente a sinistra, ed è quindi un partito di centrosinistra. Questo per me il suo dover essere. Cosa esso in concreto sia è più difficile da dire all’incrocio com’è, come le cose concrete, tra le due definizioni astratte. Di certo il Pd non rappresenta più un’ulteriore reincarnazione di quello che fu un tempo, non, come si dice, “la” sinistra, ma “il” principale partito di sinistra: il PCd’I, Pci, Pds, Ds. È anche dal ritardo nel prendere atto di questo che derivano molti problemi.
Lei è il padre del più grande successo politico del centrosinistra negli ultimi vent’anni, quello dell’Ulivo. Ma lei stesso ha riconosciuto che la storia cambia e che non si può ripetere quello che è avvenuto. che cosa occorre al centrosinistra per vincere? altri uomini? un altro progetto?
Il padre fu ed è Romano Prodi, che si intestò il rischio dell’impresa e lo guidò al Governo. Io sono al massimo uno zio che contribuì con qualche proposta e con la sua riflessione, e si batté in prima persona per la sopravvivenza del progetto ulivista durante i troppi inverni che seguirono al 1998. Sì, quella storia è ormai alla fine con la generazione che nel solco dell’Ulivo immaginò il Pd e si spese per esso. Come riprendere il cammino? Là da dove partimmo. Dalla domanda su qual è “L’Italia che vogliamo” e prima ancora se vogliamo bene all’Italia tutta oltre che a noi stessi ed alla nostra parte. Ripartire dalla consapevolezza della necessità di dare al Paese un governo reso forte dalle speranze e dal voto degli italiani. Il guaio è che, a causa del Rosatellum, prima che la risposta dalla scheda di voto è sparita la domanda.
Ci ritroviamo in una situazione tripolare. Per alcuni si tratta di un’anomalia del bipolarismo all’italiana che conosciamo. D’altra parte la legge elettorale, fatta alla luce dell’attuale assetto politico, sembra volerlo curvare contro qualcuno (M5s). Lei cosa pensa?
Che la situazione sia tripolare è una delle tante semplificazioni nelle quali siamo costretti a inquadrare il caos crescente per ricondurre in un qualche ordine la situazione attuale. Diciamo che siamo difronte non ad un multi-partitismo ma ad un multi-listismo sempre più frammentato con, al momento, tre poli attrattivi. Siamo dentro una situazione più frammentata e instabile che mai. Una frammentazione che la legge elettorale asseconda, guidata com’è più dall’idea di danneggiare qualcuno piuttosto che dalla preoccupazione di avvantaggiarci tutti assieme. Ecco perché dobbiamo applicarci a salvare il salvabile, dismettendo i sogni di gioventù.
Quindi?
Pensi se le divisioni del centrodestra e allo stesso tempo quelle del centrosinistra dovessero approfondirsi e trasferirsi in periferia. Immagini se la crescente frammentazione in liste delle assemblee locali mettesse in crisi i sindaci. Immagini se a qualche benpensante venisse in mente di ripensare l’assetto dei governi locali. Chi troverebbe più il tempo di interessarsi della nostra quotidiana “condominialità” una volta che la classe dirigente locale dovesse consumarsi tra inchieste giudiziarie e crisi amministrative permanenti. Ecco perché anche questi patti incoraggiati dagli apparentamenti del Rosatellum sono meglio di niente. Spero che li si usi come strumenti per investire sulle cose che già uniscono il centrosinistra e non invece pensarli soltanto come una tregua elettorale praticandoli come un patto di desistenza generalizzato.
(Federico Ferraù)