“Veltroni ha perfettamente ragione: chi ha gli stessi ideali deve stare insieme. E poi, giusto: parliamoci chiaro, senza tatticismi… Minori diritti per i lavoratori e i giovani, più precariato, meno tasse per i ricchi, meno welfare non sono i nostri ideali”.
Lo afferma Massimo Paolucci, del coordinamento nazionale di Mdp. “Se il Pd cambiasse le proprie politiche su lavoro, fisco, welfare, scuola — osserva Paolucci — faremmo rapidamente un accordo. Altrimenti, no: faremmo solo un pasticcio, che regalerebbe milioni di voti a Grillo e a Berlusconi. Caro Walter, ma in questi anni perché abbiamo perso milioni di voti? Ecco la domanda. Non riflettere su queste drammatiche sconfitte, e quindi non imprimere un radicale cambiamento di rotta, sarebbe un errore fatale”. Sono bastate poche battute ai “gufi” di Mdp per smascherare la finta apertura di Matteo Renzi che ha provato, reclutando per la bisogna i promotori dei più importanti fallimenti del Pci-Pds-Ds-Pd, da Veltroni a Fassino, ad aprire una crepa nella “cosa” di sinistra che vedrà la luce il 2 dicembre.
Bersani e compagni gli hanno risposto picche e lo hanno fatto in pieno stile Matteo Renzi. Rilanciando con cinismo e cioè chiedendo al segretario Pd di cassare il Jobs Act, vanto infruttuoso dei mille giorni, per incassare invece il loro appoggio.
Richiesta ovviamente irricevibile, che farebbe pensare agli ex-Pd come ad una combriccola di risentiti e rancorosi, se non fosse per un particolare.
In questi giorni i fuoriusciti dei Democratici al Senato ed alla Camera tutto sembrano tranne che dei condannati alla marginalità. E siccome i 5 Stelle sembrano ancor meno preoccupati di loro sul fatto di non avere una coalizione, si fa presto a fare due calcoli. Se Mdp va da solo nei collegi uninominali il Pd non ne vince uno, per non parlare di cosa succederebbe se la sinistra-sinistra interpretasse il voto utile votando i candidati grillini al maggioritario. Poi con i voti racimolati nel proporzionale si presenterebbe all’esordio di legislatura con un manipolo di eletti pronti a siglare un accordo di governo ed a celebrare il decennale del Pd annientandolo.
Di questo deve aver parlato Fassino con Prodi, cercando di convincerlo a ripiegare sul bullo fiorentino mettendo da parte la voglia di vendetta per la mancata elezione a presidente della Repubblica, che deve esclusivamente alla luciferina volontà di Renzi di disarcionare Bersani allora capo del Pd. E per farlo avrà evocato lo spettro di Berlusconi che più volte lo ha battuto e di D’Alema che più volte lo ha tradito. Ma Berlusconi e D’Alema sono anche i due che per ragioni diverse ne hanno sponsorizzato la nomina a presidente della Commissione europea.