“Mentre si rincorrono confuse diplomazie politiche e solitari tecnicismi elettorali constatiamo la scomparsa del senso dell’orientamento ritenendo che siamo di fronte alla fisiologica stanchezza di una vicenda democratica lunga e stanca, pur essendo stata virtuosa. E’, invece, il segno di sgretolamento di un sistema democratico eroso dall’aumento delle diseguaglianze sociali che mettono a rischio serio i principi di libertà. E’ emergenza democratica”. Giuseppe De Mita, deputato e fino a pochi giorni fa vicesegretario nazionale dell’Udc, non vuole attardarsi nella polemiche che hanno investito e demolito anche l’ultimo pezzo di galassia post-democristiana. Di tempo utile, da qui al voto sia esso a marzo o a maggio, ce n’è davvero poco per far capire, e far votare, una proposta politica fondata sul cattolicesimo popolare ispirato al pensiero sturziano.
“I cattolici italiani hanno un dovere storico: evitare che la democrazia italiana finisca in tragedia con l’esplosione di un conflitto sociale che, se non governato con la risposta politica, potrebbe perfino prefigurare una nuova stagione di conflitto sociale armato”.
Non le sembra un po’ pessimistica questa previsione?
E’ il realismo che ci investe sul tornante della storia nazionale nel momento in cui contiamo l’aumento vertiginoso e incontrollato delle diseguaglianze, senza più punti di ricomposizione. Lo scollamento tra pubbliche opinioni e forze politiche riguarda tutte le democrazie occidentali.
Quale la particolarità della crisi italiana?
In quella italiana metà dell’elettorato non vota più, della metà che vota il 30 per cento si orienta sul voto grillino e sulla nuova destra che non è la risposta ma la drammatizzazione delle difficoltà, fino ad esasperarle in una non-risposta politica.
Una sorta di tripolarismo ideologico.
E’ il sintomo della difficoltà. Il cosiddetto tripolarismo è una finzione scenica non in grado di rispondere ai problemi del paese. La democrazia nel Novecento aveva fatto una grande promessa di eguaglianza e di libertà. Le democrazie occidentali la stanno tradendo su un assunto ragionieristico: non ci sono i soldi, per cui c’è chi si salva e chi muore. Così si drammatizzano le diseguaglianze. Si pensa che prospettando mitologie populiste si calmino le acque portando tutti in piazza a protestare per poi ordinare il ritorno a casa con le solitudini delle difficoltà irrisolte.
Non c’è né bene comune, né rispetto del bene integrale della persona in difficoltà colpita dall’ingiustizia sociale.
E’ il rispetto del bene integrale della persona che Papa Francesco invoca alla frontiera drammatica della vita e della morte e che, invece, si staglia come un paradigma esistenziale che vale per la politica in crisi. Il pensiero cattolico popolare nel Novecento ha combinato l’ esigenza di libertà con giustizia sociale mettendo al centro la persona umana nel luogo e nel tempo in cui era chiamata a vivere.
In questo vuoto di giustizia sociale quale compito urgente spetta ai cattolici perché tornino a parlare al Paese?
Noi dobbiamo favorire la riconciliazione nel paese e la pacificazione della coscienza individuale, liberata dal peso dell’ingiustizia, con la democrazia dell’uguaglianza e delle libertà. Noi cattolici saremo giudicati dalla storia sul grado di consapevolezza rispetto al tempo delle ingiustizie che stiamo vivendo. E, naturalmente, della liberazione politica che sapremo determinare nella coscienza del popolo e nella risposta delle istituzioni.
Può valere come ricetta per coalizioni che mettano insieme valori differenti?
Abbiamo scoperto che negli ultimi vent’anni abbiamo messo insieme numeri, non politiche. La legge dei numeri inquinata dal berlusconismo ha destabilizzato la nostra democrazia.
Con chi andrete alle prossime elezioni, voi cattolici popolari?
La legge elettorale adesso favorisce un’iniziativa autonoma che prescinde da rassemblement spesso incestuosi. Noi ci saremo con una proposta politica fondata sull’analisi di una realtà drammatica. Per noi c’è una linea di demarcazione netta. E’ Berlusconi. Che ora si propone anche con la ridicola teoria elettorale secondo la quale lui costituisce l’argine ai 5 Stelle. Lui, invece, ha finora guidato la ruspa che ha spianato la strada ai 5 Stelle ed ora pretende anche di asfaltarla. Incredibile. E per lui la cosiddetta coalizione è solo un espediente tattico, non l’obiettivo di governo del conflitto sociale.
I tentativi diplomatici del Pd per rimettere insieme il centrosinistra sono sufficienti?
Non esiste più il centrosinistra così come non esiste il centrodestra. Chi crede che la diplomazia serva per ricostruire coalizioni finalizzate all’aritmetica dei collegi maggioritari vincenti o perdenti si sbaglia di grosso. Non vedo ripensamenti seri, e non lo dico con soddisfazione. Ci sono piccoli segnali, sarebbe ingiusto negarli ma abbiano bisogno di un’elaborazione più forte ed incisiva che parli al popolo e non alla gente.
Perché popolo e non gente?
La gente è stata trasformata in un’impropria categoria sociologica per i sondaggi elettorali. Il popolo è il cammino della storia quotidiana.
Quale differenza fa tra renzismo e berlusconismo?
Sono piccole sfumature, l’uno mi pare la proiezione dell’altro. Entrambi coltivano una visione della politica con virtù prometeiche nella quale la prevalenza dell’io annulla il noi del popolo. Quando Moro divenne segretario nazionale della Dc disse: non so se sarò in grado di sostenere questo ruolo. L’egocentrismo politico conduce ad una concezione manichea della persona e la induce all’esaltazione individualista.
Inciderà nella proposta elettorale “L’Italia è popolare”, il movimento politico appena avviato?
Noi puntiamo su una proposta di radicalità politica rispetto alla realtà: le diseguaglianze non sono più tollerabili, le ingiustizie vanno interpretate e sconfitte dalla politica, non coltivate per amplificare l’urlo delle piazze. E poi l’Unione Europea: se l’Ue non funziona il tema non sarà se uscire o meno dall’euro, ma imporre alla Ue nella sua costituzione la carta dei diritti sociali. L’Ue non deve tutelare solo il pareggio dei bilanci nazionali ma soprattutto i diritti sociali che annullino le ingiustizie. Noi abbiamo lanciato la sigla “L’Italia è popolare”. Cioè una affermazione: popolo e non gente, popolo che significa libertà e liberazione al tempo stesso, popolo di un Paese libero da vecchi arcaismi nobiliari ma da liberare dalle nuove ingiustizie sociali.
(Antonio Manzo)