Se è difficile comprendere che cosa effettivamente si stia muovendo nella pancia del Paese e fare ipotesi possibili sulla politica italiana, non è altrettanto semplice decifrare i movimenti della politica europea. Per circa un mese, i media italiani hanno quasi “nascosto” quello che stava avvenendo in Germania, dove, in realtà, Angela Merkel si trova in estrema difficoltà per ritornare a guidare un governo e le possibilità di una riedizione della Grosse Koalition con l’Spd sono problematiche se non impossibili.
La grande coalizione si riaffaccia all’orizzonte con diverse sollecitazioni, dopo il tentativo fallito di una maggioranza di Cdu-Csu, con Verdi e Liberali, ma l’impressione è che le sollecitazioni arrivino per evitare un nuovo ricorso alle urne, su cui Merkel è forse troppo fiduciosa, visto il risultato delle ultime elezioni. Conviene ritornare al voto rischiando un altro “scivolone” a destra dell’elettorato?
Il problema tedesco diventa il problema del cuore dell’Europa e forse contagia o mette in luce anche la debolezza o almeno i problemi dell’altro cuore del vecchio continente, quello parigino, francese, che oggi è interpretato dall’ancora poco comprensibile tentativo di En marche di Emmanuel Macron, nuovo simbolo dell’europeismo e, secondo un’analisi piuttosto superficiale, “scolaro”, oltre che dell’Ena, anche del generale Charles De Gaulle per alcune sue prese di posizione. L’atteggiamento del nuovo presidente e l’immagine del suo movimento possono essere, per alcuni, nuovissimi e futuribili, ma per altri possono anche apparire come un miscuglio di europeismo appiccicaticcio e di tardo gollismo che è difficile immaginare dove possa portare e dove possa andare a finire.
Si pensi solamente al ruolo di leadership che si vorrebbe attribuire alla Francia nella costruzione di una integrazione dell’unità di difesa, di un esercito comune europeo. Se mai si farà, non sarà affatto semplice una leadership francese con i contrasti che si vivono sulla Senna.
A ben vedere, Macron, dopo la nomina all’Eliseo, non ha passato un’estate molto tranquilla. A luglio, in aperto dissenso con la politica del nuovo presidente, si è dimesse il capo di stato maggiore dell’esercito francese, il generale Pierre de Villers. Nei due mesi di luglio e di agosto, il giovane marito di Brigitte aveva perso ben 24 punti di popolarità nei sondaggi di gradimento, scendendo dal 64 per cento al 40. Poi a settembre, ultimo dato che viene rilanciato dai media, l’inquilino dell’Eliseo avrebbe riguadagnato cinque punti, attestandosi sul 45 per cento dei consensi.
Alcuni osservatori politici, in estate, paragonavano la parabola di gradimento di Macron a quello dell’ultimo mandato di Jacques Chirac e a quello di François Hollande.
Nonostante la ripresa di settembre, proprio la domenica 24 settembre, si è rinnovato però la metà del Senato francese e il partito En marche è stato sconfitto, attestandosi tra i venti e trenta seggi, mentre hanno vinto “Les Republicains” di centrodestra, la vecchia anima gollista, che possono anche guardare il movimento di Marine Le Pen arretrare e pure i socialisti in flessione, sia nella versione ex Hollande, sia in quella di Melenchon. In sostanza, Macron in Parlamento non riesce a “imbarcare” quello che si pensava e mentre svanisce il vecchio socialismo francese, si riprende e si espande il centrodestra gollista.
Ma ritornando a luglio, si consuma uno strappo duro tra i gollisti e il presidente Macron. I gollisti mandano un avviso al primo ministro del governo di Macron, il gollista Edouard Philippe, e ad altri due gollisti, il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire e il ministro dei conti pubblici Gerard Darmanin: uscite dal governo o sarete espulsi. Di fatto è già un’espulsione, che è avvenuta in questo ultimo mese di ottobre, insieme a quella di un altro gollista, il segretario di Stato, Sebastian Lecornu.
C’è a questo punto qualche cosa in più da dire sulle fortune di Macron, c’è da fare qualche ulteriore considerazione: se la sua base parlamentare non si allarga come si pensava in un primo momento, ci sono gli assestamenti di governo che si rivelano veramente problematici.
Il Senato francese può contare poco da un punto di vista legislativo, ma indica le tendenze di voto. Tuttavia lo strappo sul governo è pesante e può passare sotto silenzio in alcuni paesi disattenti, ma non certo agli osservatori internazionali più attenti. Alla fine, ci si chiede: ma chi riesce a convincere il nuovo astro europeista Emmanuel Macron, se non riesce a convincere la sua Francia?
Infine, guardando nel complesso, si nota che l’area gollista-repubblicana si divide, ma di poco. Solo il gruppo di Alain Juppé segue oggi il presidente, mentre Nicolas Sarkozy appare ancora incerto e a volte contraddittorio. Ma intanto il grosso dei gollisti si sposta a destra e non condivide apertamente la politica di Macron. Inoltre, anche se i socialisti restano marginali e solo Melenchon sembra in grado di lanciare qualche segnale di contestazione radicale, di fatto il quadro francese, con l’arrivo di En marche appare tutt’altro che stabile e tranquillizzante.
C’è in effetti un appuntamento che Macron non può rinviare ancora troppo. Si tratta della nuova legislazione sul lavoro, sui nuovi contratti che dovrebbero cambiare l’impianto del mondo del lavoro francese. Insomma una sorta di Jobs Act transalpino a cui i sindacati francesi non vogliono riservare una “calda” accoglienza, ma una contestazione durissima. In realtà, i sindacati sono in agguato, pronti a bloccare la Francia. A settembre c’è stata una prova con la partecipazione di 400mila persone a Parigi.
Analizzata in sintesi la situazione francese, con una radicalizzazione a sinistra e un complessivo spostamento a destra dell’elettorato, che cosa può riservare il secondo “cuore” europeo dopo lo scivolone della Mekel? L’impressione è che la stessa Europa, che pure si esercita nell’assegnare voti negativi a destra e a manca (anche alla Francia), sia un organismo sempre più in difficoltà. Il vecchio asse Berlino-Parigi sembra veramente vacillare. Emmanuel Macron, contrabbandato come grande speranza europeista, si trova in un momento di passaggio complicatissimo.
Forse la lettera che gli ha inviato il nuovo leader pentastellato, Luigi Di Maio, potrebbe averlo rincuorato. Sempre che Macron abbia letto la lettera.