Da quando il sottosegretario Maria Elena Boschi ha presenziato ai funerali di Totò Riina, Matteo Renzi non è più lo stesso. Naturalmente è una fake news, un falso denunciato dallo stesso segretario dem all’ultima Leopolda. Il fatto è che Renzi ha paura, e si vede: ha chiesto ai social network e specialmente a Facebook, come riportato dal New York Times, di controllare le piattaforme in vista delle prossime politiche. Forse il calo del Pd nei sondaggi e lo scontro diretto con il partito più “social” di tutti, vale a dire M5s, hanno messo paura al segretario del Pd, che ha sfidato i 5 Stelle a dimostrare la loro trasparenza e ha promesso un report quindicinale per mettere nero su bianco le bufale e i falsari. Antonio Pilati, commissario dell’Agcom dal ’98 al 2005 e poi membro dell’Antitrust dal 2005 al 2011, studioso e saggista, mette in guardia chi comanda dalla tentazione del Grande Controllore.
Antonio Pilati, lei come reagisce a questa storia?
Mi pare che sulle fake news ci sia molta panna montata. Sottolineerei due punti. Il primo è che le fake news sono sempre esistite: la seconda guerra in Iraq è stata scatenata dagli Usa sulla base di una fake news, il presunto possesso di armi chimiche da parte del regime di Saddam Hussein, e chi l’aveva diffusa sapeva che non era vera. O ancora, i dirigenti comunisti italiani che facevano le vacanze in Urss quasi certamente sapevano che la patria del socialismo reale non era il paradiso terrestre che si raccontava in Italia.
E il secondo punto?
E’ evidente che con internet il fenomeno ha assunto una dimensione che non aveva. Prima solo le élites avevano le conoscenze e i mezzi per mettere in circolazione non solo le notizie vere, ma anche le bufale. Oggi invece tutti, ma proprio tutti coloro che hanno accesso ad una piattaforma, sono potenziali fonti di informazione.
Con quali conseguenze?
E’ caduto il filtro dato dalla deontologia professionale dei giornalisti, che permetteva il controllo delle notizie e l’autorevolezza delle fonti di informazione. Con internet chiunque, anche se ha le idee più stravaganti, può trovare un pubblico. La bufala diventa pane quotidiano e parte essa stessa del panorama mediatico.
Assisteremo a un ossessivo fact-cecking?
Può darsi, ma non è la soluzione. Nel momento in cui le fonti diventano milioni o miliardi, come si fa a controllare tutto?
Per difendersi le strade sembrano due. O nessuno schermo, oppure il grande occhio, il super-organismo. Il ministro Minniti ha detto che serve “un’alleanza tra governi e provider”.
Tutte queste idee lasciano il tempo che trovano, in primo luogo perché le dimensioni del fenomeno mettono in scacco tutti i possibili fact-checkers, in secondo luogo perché non si capisce chi abbia il monopolio della verità. Quis custodiet ipsos custodes? Chi dice che quella è una menzogna? A chi diamo ragione? Al New York Times o allo staff di Trump?
Tutte le fake news si equivalgono?
Internet ha democratizzato e reso universale la possibilità di dire balle su larga scala. Però, rispetto ai comuni cittadini, le élites hanno opportunità e mezzi molto più grandi.
Lei cosa propone?
L’unico argine alle bufale che mi pare realistico ed efficace è la limitazione dell’anonimato. Il sistema dell’opinione pubblica che conosciamo, per come si è sviluppato dal ‘700 in avanti, fino alla televisione, è basato sul fatto di avere alla fine una responsabilità associata alla firma. La caduta di questo principio ha incentivato enormemente la circolazione di bufale.
Sono la stessa cosa un video del ministro Boschi che partecipa ai funerali di Riina e la tesi di Renzi che il Sì al referendum, conti alla mano, avrebbe aumentato il Pil?
Uno è un fatto che non è accaduto, l’altro è una previsione chiaramente sbagliata. Uno si riferisce al passato, l’altro al futuro. D’altra parte anche una tesi che non sta in piedi assomiglia molto a una fake news. Questo ci dice quanto è complicato fare il controllo.
La legge 167/2017, che attua direttive europee, è stata molto criticata da opinionisti e blogger perché, attraverso la tutela del diritto d’autore, potrebbe facilmente introdurre misure fortemente restrittive all’informazione libera. Le risulta?
Non ho ancora esaminato in dettaglio il testo della legge, ma la violazione del copyright è diversa dalla professione d’odio e dalla divulgazione di notizie false. Accomunare tutto è sbagliato e sconveniente. Come è pericoloso dare poteri di tipo censorio, perché facilmente sfuggono di mano.
Sfuggono di mano a chi?
A chi ha il potere, proprio perché si traducono in una limitazione della libertà di espressione. Il guadagno, per così dire, sarebbe molto limitato rispetto alle possibili conseguenze. Dovendo immaginare degli interventi, a mio avviso la soluzione sta negli strumenti già noti che consentono di perseguire la diffamazione e la calunnia. Oltre, ripeto, nel limitare fortemente l’anonimato in rete.
La libertà di espressione è minacciata?
Oggi no, ma se continua questa ondata potrebbe darsi che lo diventi in futuro. Se si drammatizza il fenomeno fake news in modo da ritenere legittimo perseguirlo con ogni mezzo, si fanno dei danni.
Vede il rischio di un Grande fratello orwelliano?
No, piuttosto di una grande, globale confusione.
(Federico Ferraù)