Il viaggio americano alla corte di Obama è già archiviato, il faccia a faccia con Luigi Di Maio è alle porte. Ma l’incontro chiave di questi giorni per Matteo Renzi si è svolto ieri nella sua Firenze: un vertice a porte chiuse con Pierferdinando Casini, presidente della commissione d’inchiesta parlamentare sulle banche. Venti minuti di colloquio in una sede istituzionale, la stanza del presidente del consiglio regionale della Toscana. I due si trovavano lì per la presentazione di un libro su Giorgio La Pira, ma è chiaro che si è trattato di un pretesto per parlare d’altro nei 20 minuti a tu per tu. È poi stato lo stesso segretario Pd a confidare al padrone di casa, Eugenio Giani, che con Casini non si è parlato dell’ex sindaco pacifista di Firenze, ma dei lavori della commissione e delle coalizioni che devono essere formate per le elezioni.



Gli accordi elettorali sono un tema chiave per il Pd, che deve uscire dall’isolamento in cui Renzi lo sta spingendo. Ma il vero tema in discussione è la questione banche. In 20 minuti non è che si possano pianificare strategie complicate. I grillini hanno protestato perché Casini si farebbe dettare l’agenda da Renzi a uso e consumo del Rottamatore. L’impostazione dei lavori della commissione è cruciale: il segretario Pd vorrebbe orientare i riflettori contro Bankitalia, i suoi vertici (da rottamare anch’essi) e i mancati controlli. Le opposizioni invece puntano il dito contro i comportamenti dei singoli istituti e dei loro vertici (in particolare contro Banca Etruria e l’ex vicepresidente papà di Maria Elena Boschi), sui dissesti e sulle manovre di salvataggio varate dal precedente governo, quello guidato dallo stesso Renzi.



L’ex premier conta tantissimo sul lavoro della commissione. La questione deve servirgli come un sipario che possa calare a nascondere la sconfitta in Sicilia. Renzi cerca un argomento di cui impossessarsi con forza in questi sei mesi di campagna elettorale verso le politiche e crede di averlo trovato nel bombardamento sul sistema bancario. Un tema di facile presa nella gente, oltretutto finora rimasto una sorta di esclusiva grillina che il centrodestra fatica a cavalcare, come dimostrano gli ondeggiamenti di Berlusconi sulla difesa del governatore Ignazio Visco nei giorni dell’attacco sferrato da Renzi. 



Il segretario Pd userà come una clava antisistema la commissione presieduta da Casini. Ogni audizione, ogni verbale, ogni spunto per attaccare la vigilanza di Via Nazionale sarà usato nei comizi pre elettorali come strumento di propaganda. Il partito che esprime il presidente del Consiglio gioca a fare l’antipolitica: sarà uno spettacolo interessante e chissà se incontrerà il favore degli elettori.

L’asse con Casini è dunque essenziale. Ma oltre all’agenda, sul tappeto c’è un’altra questione: la durate dei lavori della commissione. Renzi — e i 5 Stelle — vorrebbero lavorasse fino alla scadenza naturale della legislatura, cioè anche a Camere sciolte durante la campagna elettorale per alimentare con munizioni sempre nuove il fuoco contro Bankitalia. Ma l’establishment teme questa spregiudicatezza renziana. E ha trovato in Pietro Grasso, presidente del Senato in rotta con il Pd e il suo leader, l’uomo che non farà sconti a nessuno. D’intesa con il Quirinale, il numero uno di Palazzo Madama chiuderà i lavori senza concedere proroghe: al massimo lascerà la possibilità di stilare una relazione di sintesi del lavoro svolto. Se dunque, come sembra, si voterà a marzo, Casini e i suoi hanno tempo fino a gennaio per il tiro a segno sulle banche. Due mesi sono nulla per portare allo scoperto le responsabilità dei crac e dei danni ai risparmiatori, ma sono sufficienti (se sfruttati bene) per alimentare le bocche di fuoco della campagna elettorale.