RISULTATI ELEZIONI REGIONALI SICILIA. Quando si tratta di exit polls servono robuste iniezioni di cautela. I casi Brexit e Trump insegnano. Ma visto che le indicazioni delle rilevazioni per la Rai e per La 7 sostanzialmente coincidono, ogni ragionamento sulle elezioni siciliane deve partire da una seppur risicata vittoria di Nello Musumeci.



Un paio di punti il margine, che i voti reali potrebbero anche ribaltare. Ma se lo scrutinio lo confermasse, per il centrodestra si tratterebbe di una vittoria che non sarà facile gestire bene, né in chiave locale, né in chiave nazionale. A Palermo il problema potrebbe essere costituito dall’assenza di una maggioranza nella nuova assemblea regionale siciliana. Per averla le sue liste debbono superare il 40 per cento dei voti. Sarebbe certo un problema, ma non gravissimo in un sistema fortemente presidenziale, se si pensa che il governatore uscente, Crocetta, non ha mai avuto la maggioranza per tutta la durata della legislatura appena conclusa. 



Assai più rilevante politicamente è il peso che l’affermazione del centrodestra in Sicilia potrebbero avere a livello nazionale. Troppo facile vedere il successo in terra sicula come il trampolino di lancio per un bis in sede nazionale a primavera. Proprio gli ultimi giorni della campagna elettorale nell’isola e la grottesca pantomima della cena della presunta pace in quel di Catania hanno mostrato la profonda debolezza di un’aggregazione, il centrodestra, dove è in corso un evidente braccio di ferro per la guida della coalizione fra il redivivo Berlusconi e lo scalpitante Salvini. Il “patto dell’arancino” è parso debole, e di facciata. Lo scontro vero è solo all’inizio e verrà giocato da qui al voto politico per decidere chi potrà gestire da posizioni di forza la fase della formazione del nuovo governo, che si preannuncia nebulosa e difficile, con la probabile possibilità di arrivare a larghe intese. Oggi Berlusconi e Salvini (oltre alla Meloni) sembrano condannati a stare insieme, ma nulla è scontato dopo il passaggio elettorale nazionale. Senza un’intesa vera, e non di facciata, la vittoria del 5 novembre potrebbe per il centrodestra trasformarsi in una vittoria di Pirro. 



Il secondo dato che le regionali siciliane rendono evidente è l’ottimo stato di salute del Movimento 5 Stelle, nonostante le evidenti difficoltà dei propri amministratori, le sindache Raggi e Appendino in testa. Nessuna crisi, almeno a prima vista: i grillini quasi raddoppiano i voti delle regionali del 2012, e nell’isola sono nettamente il primo partito. Un risultato che pare non bastare per governare, ma che gonfia le vele della corsa di Luigi Di Maio verso Palazzo Chigi, sempre che non emergano divisioni fra le fila dei pentastellati. 

Certo, se lo scrutinio dovesse addirittura consegnare la vittoria a Giancarlo Cancelleri (le forchette statistiche degli exit polls non escludono del tutto questa possibilità), cambierebbe tutto, e la spinta verso il governo sarebbe addirittura impetuosa, mentre per il centrodestra si aprirebbe una fase di recriminazioni proprio sul quelle divisioni che sono emerse con estrema evidenza a Catania. 

Venendo al campo del centrosinistra, la batosta è evidente, con la secca bocciatura della fallimentare esperienza di governo di Rosario Crocetta. Secondo alcune voci allarmistiche della vigilia, però, poteva andare persino peggio. Pare che sia stata evitata la “medaglia di legno”, quel quarto posto di Fabrizio Micari dietro anche a Claudio Fava, che avrebbe avuto effetti deflagranti sino a Largo del Nazareno. Con una quota del candidato poco sotto il 20 per cento e il partito intorno al 10 per cento, probabilmente non ci sarà alcun tentativo di ribaltone contro Renzi. Di sicuro però da oggi il segretario democratico è più debole. E ad aggravare la sua debolezza anche il magro risultato che si profila per Alfano e i suoi. Talmente magro da mettere in dubbio la possibilità di Alternativa Popolare di superare a livello nazionale la soglia del 3 per cento. E questo rende la coalizione cui da poco si è convinto a lavorare Renzi intrinsecamente più debole. Indispensabile allargare i propri confini a sinistra, recuperando il rapporto con quell’area in Sicilia rappresentata da Claudio Fava. Una galassia, quella fra Pisapia, Bersani e Fratoianni, di cui Renzi non potrà fare a meno se vuol immaginare di essere minimamente competitivo. Se così non sarà, la gara nazionale sarà esclusivamente fra 5 Stelle e centrodestra.

Ultimo, e preoccupante dato quello dell’affluenza alle urne: il malessere dell’elettorato è evidente in una percentuale del 46,76 per cento, di poco sotto alla consultazione di cinque anni fa (47,41 per cento). Più di un siciliano su due anche questa volta non ha ritenuto importante recarsi ai seggi. Segno chiaro della sfiducia di molti nella capacità della politica di dare risposte ai problemi della quotidianità.