Sedici ore dalla riapertura delle urne siciliane al solo scopo di scrutinare le schede votate. Ritardi atavici a parte, e certa ormai la vittoria del centrodestra con l’elezione di Nello Musumeci a presidente della Regione, il voto siciliano lascia dietro di sé una lunga scia di fatti da analizzare.
Innanzi tutto chi ha vinto? Primo partito è stato l’astensionismo, senza ombra di dubbio. Oltre il 53 per cento degli aventi diritto ha deciso di non votare. Una stima statistica ci dice che fra questi il 5 per cento, circa 200mila persone, non ha votato non per volontà ma per impedimento. C’è chi lavora all’estero, chi malato non ha comunicato per tempo la richiesta per un seggio speciale e così via. C’era, poi, un 26 per cento del corpo elettorale che neanche sapeva la data delle elezioni. Insomma il non voto di protesta può tranquillamente considerarsi come attestato al 20 per cento. Resta quel preoccupante disinteresse totale alla cosa pubblica. Quella disaffezione frutto di un fatalismo tutto siciliano nel carattere che porta fino a considerare qualsiasi scelta ormai inutile.
Ma in fondo forse non è neanche così, se è vero, come è vero, che il 4 dicembre 2016 i siciliani a votare ci sono andati per dire no alle riforme renziane. Dunque quando hanno una idea concreta, una convinzione da difendere e sostenere, alle urne si presentano e fanno la differenza.
A destra, invece, adesso si cominciano a fare i conti dei vincitori. Il primo tema sarà la maggioranza in parlamento. Musumeci ha vinto ma non ha raggiunto i consensi necessari per una maggioranza solida. E adesso dovrà anche avviare il confronto dentro il centrodestra ricompattato a fatica sul suo nome per definire la giunta di governo.
In casa 5 Stelle si incassa un consenso quasi raddoppiato rispetto al 2012. Si porta a casa anche un consistente voto disgiunto a vantaggio di Cancelleri anche se non basta per farlo eleggere presidente. Il movimento è comunque il primo partito nell’isola e da qui inizia la cavalcata alla conquista del governo nazionale. Non è un caso se Cancelleri, al secondo mandato e dunque non più candidabile fra cinque anni per il regolamento 5 Stelle, parla di voto “contaminato”. Un inizio senza sconti.
Nel centrosinistra, invece, evitato lo psicodramma che sarebbe esploso se Fava avesse scavalcato Micari, resta una sconfitta cocente anche se non imprevista. Micari prende circa il 7 per cento in meno della propria coalizione. Segnale che si è sbagliato candidato anche se si sarebbe perso comunque. Due dati sono importanti nella coalizione. Ap, il partito di Alfano, non raggiunge il 5 per cento necessario per superare lo sbarramento e dunque entrare in Parlamento mentre Sicilia Futura, il partito dell’ex ministro Totò Cardinale che non si è candidato personalmente, lo supera ampiamente ma singolarmente i voti che prende sono sovrapponibili a quelli che Micari non incassa. Singolare, perché da qualche settimana si parlava di un possibile voto disgiunto proprio degli uomini di Cardinale.
Nel Pd, invece, si prepara la resa dei conti e non basta scaricare le colpe sulla sinistra e su Pietro Grasso che ha detto no alla candidatura, secondo i renziani “per viltà”. Non passa neanche la lista Micari che sarebbe dovuta essere quella del sindaco di Palermo Leoluca Orlando che, però, ha mollato sul più bello lasciando che divenisse la lista del governatore uscente Rosario Crocetta. Con questo gioco di promesse non mantenute Orlando riesce a cancellare del tutto Crocetta che sparisce dall’agone politico e rischia di non poter mettere neanche all’incasso la promessa renziana di un collegio blindato alla Camera a marzo.
A sinistra la lista Cento passi di Claudio Fava torna ad approdare all’Ars dove riporta l’altra sinistra dopo 11 anni ovvero due mandati (e mezzo) di assenza. Un buon risultato che rispecchia anche quanto avvenuto alle amministrative di giugno, ma che non va oltre il quarto posto e il ritorno in parlamento.
Infine, delusione per gli autonomisti che sull’onda emozionale della vicenda catalana speravano almeno di sfondare il tetto dello sbarramento e approdare in parlamento, ma che alla fine non si sono neanche avvicinati a questo risultato.
Nei prossimi giorni assisteremo alla resa dei conti fra vinti e fra vincitori e all’interno degli schieramenti e il voto avrà, senza dubbio, una ricaduta nazionale non secondaria. Insomma vincere aiuta a vincere, mentre governare aiuta a perdere, soprattutto se ci si divide.
Manlio Viola è direttore di blogsicilia.it