L’astensionismo non si arresta, gli M5s non sfondano, torna Silvio Berlusconi e Matteo Renzi è alle corde. Questi in una frase i risultati del voto in Sicilia, che confermano peraltro tendenze che tutte avevamo già registrato nei mesi passati.
Occorre quindi approfondire queste tendenze e poi capire cose esse comportano per il futuro.
L’astensionismo è oltre il 50 per cento, superiore alla ventata di interesse che c’era stata per il referendum sulla riforma costituzionale. Questo significa una netta sconfitta per M5s, come avevamo scritto in passato. I 5 Stelle cioè non riescono a convincere di essere il partito del nuovo: oltre il 50 per cento dei votanti li considera un partito come tutti gli altri, e quindi non degno di attenzione.
Non sappiamo se quel 50 per cento ha torto. Certo in Sicilia, guardando le cose dalla Cina e senz’altro sbagliando, sembra che gli M5s abbiano seguito il Gattopardo: hanno stretto patti, siglato intese, sembra siano entrati nel sottobosco di quella politica che dicevano di disprezzare. In ciò sono arrivati quasi a vincere.
Ma quel quasi forse è una doppia sconfitta, primo perché M5s ha perso la Regione; secondo perché potrebbe essere il limite dell’espansione del Movimento, un po’ come fu Lepanto nel 1570, la battaglia tra Turchi e Cristiani. Lo scontro allora non apparve decisivo, non c’erano chiari vincitori e vinti, ma era chiaro che ogni ulteriore espansione turca nel Mediterraneo sarebbe stata più difficile.
In Sicilia gli M5s hanno fatto meno bene che a Roma o Torino. O cambiano drasticamente direzione, il che è sempre un azzardo, oppure rischiano una ritirata lenta; e alle elezioni dell’anno prossimo potrebbero perdere ancora punti, perché l’odore della sconfitta si allarga presto e in Italia più che altrove. Insomma il Movimento 5 Stelle oggi è un partito normale, come gli altri, non più antisistema. Con un problema in più: Grillo è all’arrembaggio del potere esattamente come gli altri, ma date le sue origini “antisistema” rischia nella normalizzazione il doppio degli altri.
Il secondo elemento è che torna Berlusconi, come abbiamo notato alle amministrative, e come sottolineava Marcello Sorgi, e non sappiamo se tornerà anche l’antiberlusconismo militante del passato. Oggi diversamente dal passato Berlusconi è meno a rischio, perché l’Italia dovrebbe essere imbragata dalla Ue (quindi non ci sarebbero troppi spazi per troppe follie), perché gli M5s fanno più paura di Berlusconi, e perché Berlusconi non prenderebbe il governo direttamente. Ma fanno più paura due alleati del Cavaliere, la Lega di Matteo Salvini e i Fratelli d’Italia della Meloni, entrambi su posizioni sempre più estreme. Berlusconi dovrà fare miracoli di equilibrismo, ma in ciò è spesso stato bravo.
Il terzo elemento è Matteo Renzi, che non è stato travolto ritrovandosi dietro Claudio Fava, come pure a un certo punto si era temuto, ma certo ha sbagliato tutto: ha corso per l’Italia proprio quando avrebbe dovuto correre per la Sicilia, e se il Pd in Sicilia resta sulla linea di galleggiamento forse lo si deve proprio all’assenza di Renzi. Se fosse andato in Sicilia forse l’opposizione a lui e al suo partito sarebbe stata maggiore.
In questa situazione, guardando le notizie, sembra che il golpe anti-Renzi nel Pd sia già in moto. Di contro, se il Pd non si dà una mossa, come dice Stefano Folli, rischia l’irrilevanza e di essere fagocitato a “destra” da Berlusconi e a “sinistra” da M5s.
In questo contesto c’è, non dimentichiamolo, un 50 per cento abbondante che non si riconosce in alcuno. Vuol dire che c’è lo spazio per agganciare anche la metà di questi assenteisti, che pure sono interessati alla politica (perché hanno votato al referendum). Cioè c’è l’orizzonte oggettivo per la nascita di un nuovo partito che prenda la maggioranza. Ma non è chiaro chi potrebbe occupare questo orizzonte. In ogni caso, dev’essere un soggetto completamente nuovo. Sarebbe un miracolo se qualcosa nascesse nei prossimi mesi.
In mancanza di questo miracolo c’è il pericolo che la debolissima politica italiana collassi sulla Chiesa, oggi forse più forte che mai con questo Papa a livello internazionale. Chiunque vuole un po’ della luce riflessa di San Pietro.
Nella Chiesa ci sono tentazioni a destra e a sinistra per raccogliere questa caduta, anche con comprensibili ragioni: l’Italia è il primo cerchio geografico naturale intorno alla Santa Sede. Inutile però dire che la Chiesa sbaglierebbe a farsi trascinare nella politica italiana. Ciò sarebbe una palla al piede per una Chiesa che mai come oggi ha una dimensione e una proiezione globale.
Sarebbe anche un errore per i politici italiani però. La caduta della Dc dovrebbe ricordare a tutti che un po’ di odore di sagrestia non scaccia il demone della mancanza di politica, lo esalta solamente.