Spegnete le tv, abbassate il volume delle radio, chiudete i giornali. Sono tutti impegnati a ripetere che il centrodestra ha vinto in Sicilia e che la troika Berlusconi-Salvini-Meloni si prepara a fare un boccone anche del Parlamento nazionale, visto che quello che succede in Sicilia è sempre l’antipasto di quanto avverrà nel Paese. Ci sono però una serie di elementi che messi assieme disegnano un quadro molto diverso. Perché bisogna capire bene come ha vinto il centrodestra, se ha vinto.



Certo, Nello Musumeci sarà il nuovo governatore siciliano. Ma nonostante fosse indicato come favorito da mesi, e abbia quindi sfruttato l’onda del “voto utile” di chi salta sul carro del futuro vincitore, ha prevalso di poco sul grillino Cancelleri. Se i voti al partito — e non al solo candidato — contano ancora qualcosa, il Movimento 5 Stelle è di gran lunga il primo nell’isola con circa il 27 per cento dei voti. Forza Italia naviga attorno al 18 e il Pd arranca al 13. La Lega, che si presentava per la prima volta a un appuntamento del genere, ha avuto la brillante idea di accasarsi con Fratelli d’Italia, il partito che esprimeva il candidato presidente, e ora s’intesta tutto il 6 per cento conquistato in coppia. I tempi dell’indimenticato 61-0 (politiche del 2001) con la regìa di Micciché sono lontani anni luce.



Poveri partiti, spazzati via dal movimento di Grillo. Che oltretutto manifesta una capacità di attrazione ancora superiore: la lista ha preso il 27 per cento, il candidato il 35. Un margine di 8 punti per un voto di opinione che premia la persona al di là della fazione. L’opposto è capitato alla coalizione di centrosinistra, dove la somma delle singole liste ha staccato nettamente i voti raccolti dal mite e gentile Micari. Il voto disgiunto ha penalizzato il candidato di Renzi e Alfano, che evidentemente non era l’uomo giusto al posto giusto, mentre ha premiato il grillino. 

Ecco, Alfano. Giocava in casa sua, sembrava dovesse portare a Micari quel valore aggiunto che gli mancava e invece ha fatto sprofondare Area popolare in un abisso. E tuttavia il suo peso non è così irrilevante. Se sommiamo i voti delle liste a sostegno di Micari e Fava si sorpassa di un soffio i grillini e si supera largamente il 23 per cento totalizzato da Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. Significa che se Renzi avesse il buonsenso di fare il passo indietro che serve a un’alleanza elettorale con le varie anime errabonde della sinistra, i giochi alle politiche sarebbero tutti apertissimi.



Basterebbero queste valutazioni, basate sui numeri, per indurre il centrodestra a non esultare troppo. Ma c’è dell’altro. Il risultato del centrodestra in Sicilia è gonfiato dai cosiddetti “impresentabili”. Una buona fetta della maggioranza che ha sostenuto per cinque anni il governatore Crocetta, alla vigilia del voto è passata armi e bagagli con Musumeci in virtù di accordi discutibili e comunque non riproducibili su scala nazionale. Se si vuole fare un paragone tra le elezioni siciliane e le politiche di primavera bisogna depurare il centrodestra dagli effetti di questo doping.

In fondo, un Pd che avesse retto di più avrebbe fatto molto comodo a Silvio Berlusconi perché Renzi sarebbe rimasto un interlocutore con cui dialogare. Ora invece il segretario del Pd si presenterà azzoppato in campagna elettorale e difficilmente in futuro sarà una sponda affidabile, il che costringerà il Cavaliere ad appiattirsi ancora di più sulla Lega. Il voto moderato è ancora lontano dal coagularsi di nuovo sotto le bandiere azzurre. Berlusconi ha fatto eleggere un governatore non suo con una coalizione che detesta e che non ha avuto il risultato che le viene accreditato. La storia del centrodestra trionfatore in Sicilia è soltanto una leggenda buona per il dopo-Halloween.