I politici più avveduti sanno che le elezioni si considerano vinte quando ciascuno raggiunge il risultato che si era prefissato. Per questo banale ed evidente motivo in Sicilia hanno vinto tutti i contendenti. Ecco perché.

Nello Musumeci e il suo raggruppamento volevano vincere. Ne hanno avuto innanzitutto la volontà e poi ci hanno messo l’impegno. Hanno messo in campo tutte le energie disponibili, pur nel breve tempo a disposizione, ed hanno applicato con coerenza un principio che in politica premia sempre: uniti si vince, per dividersi c’è sempre tempo. Volevano tornare a governare la Sicilia e per cinque anni toccherà a loro. Poi vedremo.



Giancarlo Cancelleri e il suo partito volevano arrivare secondi e ci sono riusciti egregiamente. Non volevano vincere: troppo oneroso e rischioso. Meglio una sana e meno logorante opposizione che il governo di una regione ad alto rischio di fallibilità, molto più di Roma, Torino o Bagheria. Per cinque anni torneranno a fare opposizione, avendo il vantaggio di avere contro un governo molto più definito nei contenuti e nelle idee di quello che voleva essere e non fu il quinquennio di Rosario Crocetta. Buon lavoro.



Fabrizio Micari e il Pd sapevano di non poter vincere e non hanno fatto nulla per vincere. Hanno conquistato un onorevole terzo posto che consentirà loro di continuare ad esistere tra i banchi dell’Assemblea Regionale Siciliana. Dovranno fare un’opposizione che evitando di identificarsi con quella dei 5 Stelle, sappia indicare un’alternativa credibile alle scelte che farà il Governo Musumeci. Micari tornerà a fare il rettore dell’Università di Palermo, perché saggiamente (sic!) non si era dimesso e il Pd siciliano proseguirà verso un futuro che sempre più sarà deciso a Roma.



Claudio Fava e i suoi dovevano dimostrare che esiste una sinistra fuori dal Pd degna di considerazione e rispetto. Ci sono riusciti. Nessuno potrà dire che non hanno avuto un riscontro elettorale. Altra cosa è incidere nelle scelte future. Ma questo non era nei loro obiettivi. E quindi buona opposizione anche a loro.

Roberto la Rosa e i suoi impavidi sostenitori hanno vinto anche loro. Hanno dimostrato di esistere, hanno dato prova che le loro idee possono trovare consenso. Altra cosa è sperare di fare politica con quelle sole forze. La politica è fatta di alleanze e mediazioni. Ma non era nel loro programma. E quindi auguri per il futuro anche a loro.

E allora, se hanno vinto tutti, chi ha perso?

Hanno perso i tantissimi siciliani che non hanno votato. Per quanto nobile possa essere stata la loro motivazione, non sarà mai sufficiente a giustificare il fatto che hanno perso un’altra occasione. Non quella di cambiare la Sicilia, ma almeno quella di sentirsi utili e necessari al suo cambiamento. In cambio potranno continuare a lamentarsi di tutto e di tutti, quasi che fossero dei marziani di passaggio su quest’isola, salvo il fatto che in quest’isola devono continuare a viverci e in attesa che Musumeci la renda bellissima, potrebbero contribuire a renderla meno brutta.

Hanno perso anche i tanti siciliani che hanno subìto questa circostanza elettorale senza viverla da possibili protagonisti. Di fronte a una campagna elettorale dimessa nei toni, nei contenuti e nei personaggi, un maggior coinvolgimento avrebbe costretto almeno i candidati e i partiti ad assumersi quelle responsabilità per le quali hanno chiesto il voto. Anche in questo caso un’occasione persa. C’è ora il rischio che questa freddezza si trasformi in distacco e disinteresse, lasciando poi ai soliti noti, cioè agli eletti, oneri e responsabilità di guidare una Regione che solo con il concorso di tutti i suoi abitanti potrà sperare in un futuro migliore.

Tutti, votanti e astensionisti, sono tuttavia legati dallo stesso desiderio: dimenticare Crocetta e i suoi cinque anni di governo. Forse è poco, ma da questo si può già partire. Certo in Sicilia non mancano né le risorse né le energie. Forse però si potrebbe cominciare imparando a separare le criticità dalle responsabilità di ciascuno, da quello che ciascuno, consapevolmente, può e deve fare.

C’è da recuperare innanzitutto una fiducia nelle risorse che ciascuno può mettere in campo e dare più credito al valore del bene comune, sempre invocato e mai attuato pienamente. 

Forse la campagna elettorale è stata un’occasione persa, ma certamente nessuno può permettersi di perdere altri cinque anni. Sono in fondo cinque anni della nostra vita.