Chi l’avrebbe detto solo tre mesi fa? Nessuno di buon senso nel centrodestra avrebbe scommesso un euro bucato sulla vittoria dello schieramento moderato, litigioso e diviso com’era. Poi le liti e le divisioni sono proseguite, ma il vento è girato, e tutto è sembrato allinearsi in direzione di un’inattesa vittoria, a cominciare da una legge elettorale che neppure Calderoli e Brunetta avrebbero saputo fare di meglio.
Per il centrodestra il rischio è però sprecare questo calcio di rigore. E allora tutti sono diventati più guardinghi, pur continuando a punzecchiarsi fra alleati. Ci sono in primo luogo da parare i colpi del centrosinistra, che ha scelto due terreni scivolosi per sferrare i primi colpi, il ritorno del fascismo e la propalazione di fake news targate Cremlino. Per Berlusconi, Salvini e Meloni si tratta di armi spuntate. Nessuno ha pensato neppure per un minuto ad aderire alla manifestazione di Como convocata dal Pd, e la convinzione è che — nonostante la spinta del partito di Repubblica — questo tema si sgonfierà presto.
Più complicato è stato replicare all’accusa di essere etorediretti da Mosca, sia perché a muoverla è stato l’ex vicepresidente di Obama, Joe Biden, sia perché oggettivamente più antipatica. Per fortuna di Berlusconi e Salvini, però, la prima accusa riguardava una manipolazione dell’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre dello scorso anno: con quasi venti punti di scarto fra il Sì e il No pensare che sia stato determinante un eventuale intervento esterno fa persino sorridere.
Di più: Salvini ha cercato di costruire un rapporto con il partito di Putin, “Russia Unita”, alla luce del sole, vantandosi del suo selfie con Putin. Ancor più di Salvini, è Berlusconi il politico italiano più vicino al leader del Cremlino. E il fondatore di Forza Italia ha subito risposto sparando alzo zero contro il numero due di Obama, parlando di accuse non credibili. In fondo, Putin non ha bisogno di mezzucci per incidere sulla politica italiana: gli basta una cena con Berlusconi, senza neppure il problema di tenerla riservata. Morale: o usciranno prove più concrete e convincenti di un’effettiva ingerenza russa nella vita politica italiana, oppure queste illazioni sono destinate a sgonfiarsi.
A prima vista, quindi, i problemi maggiori per il centrodestra non vengono da Renzi e dal suo Pd. Assai più insidiosi sembrano i rapporti interni alla coalizione, perché il fuoco cova sotto la cenere. Sino a qualche mese fa la lettura prevalente era che il centrodestra sarebbe andato al voto unito per pura convenienza, pronto a spaccarsi subito dopo, secondo le convenienze: o Berlusconi verso l’abbraccio con Renzi, oppure Salvini (con Meloni al seguito) pronto a sostenere un governo a guida 5 Stelle, dal di dentro o dall’esterno.
Lo spartiacque è il Rosatellum: la legge voluta da Renzi ha due caratteristiche, se vista dal campo moderato. La prima è che costringe a qualcosa di più di un matrimonio di convenienza, visto che bisogna presentare candidati comuni nei collegi uninominali, candidati che il giorno dopo il voto avranno qualche problema a vedere separarsi le proprie strade. Il secondo punto da considerare è il vento positivo che vede il centrodestra volare nei sondaggi sempre più su, verso il 35 per cento, anzi secondo alcuni sondaggisti verso quella soglia del 40 per cento che potrebbe consegnare una incredibile maggioranza assoluta dei seggi ai moderati.
Certo, tutto questo passa per una risalita prepotente di Forza Italia, capace di scavalcare la Lega. Ma con Berlusconi ancora impedito a candidarsi in prima persona, la questione della leadership rimane un punto spinoso. Persino la Meloni intende avere voce in capitolo. Ma chi vi spera di più è Salvini, che dal palco di Piazza Santi Apostoli, nel cuore di Roma, ha parlato da premier in pectore, con accenni nuovi persino sul cavallo di battaglia del no allo ius soli. Non è cosa da poco dire che sono italiani anche gli immigrati regolari. Salvini tenta il tutto per tutto, accreditandosi come l’anti-Renzi, annunciando di sfidarlo nel suo stesso collegio elettorale, ma non basta per farne il leader riconosciuto del centrodestra.
Ovviamente Forza Italia non condivide nulla di questa fuga in avanti, sicuri come sono gli azzurri di avere preso un abbrivio che li porterà a un risultato ben superiore rispetto alla Lega. Uno dei collaboratori più stretti di Berlusconi, Sestino Giacomoni, arriva a ipotizzare il 30 per cento: forse troppo, ma segno dell’ottimismo che permea tutta Forza Italia.
Berlusconi e Salvini sono condannati a stare insieme sia dal meccanismo elettorale, sia dalla possibilità di una vittoria completa, che oggi non appartiene più al mondo dell’irrealtà. Condannati soprattutto dall’idem sentire dei rispettivi elettorati. Ma la debolezza del centrodestra sta proprio in questo dualismo irrisolto. Un nodo che potrebbe rendere difficile amministrare la vittoria, ammesso che questa arrivi per davvero.